Quattro anni fa, il gruppo armato al-Kaniat venne costretto a ritirarsi da Tarhouna, dopo aver costretto dal 2015 al 2020 la popolazione della città della Tripolitania libica a sopportare l’indicibile. I miliziani si lasciarono alle spalle numerose fosse comuni e una scia di sparizioni e torture. La popolazione civile non si è ancora ripresa dal terrore: “Ogni giorno moriamo migliaia di volte”.

Questa frase, tratta da una testimonianza raccolta da Amnesty International, dà il titolo a un rapporto di ricerca appena pubblicato dall’organizzazione per i diritti umani, in cui documenta le vicende di 159 persone, appartenenti a 23 famiglie allargate, uccise o tuttora vittime – almeno 68 secondo l’Associazione delle vittime di Tarhouna – di sparizione forzata. Lo stile di al-Kaniat era sempre lo stesso: eliminare tutti i maschi di una famiglia (compresi bambini di 10 anni) e ordinare agli altri parenti di lasciare Tarhouna per potersi accaparrare i loro beni e proprietà.

Il rapporto di Amnesty International descrive storie agghiaccianti.

Il 3 aprile 2020 al-Kaniat fece irruzione in un’abitazione, rapendo Abdelali al-Fellus e tre dei suoi figli – Mohamed, Abdelmalik e Abdelrahman, rispettivamente di 10, 14 e 15 anni – uccidendoli tutti e quattro poco dopo. La moglie di Abdelali al-Fellus, Ghazal Miftah, venne a saperlo dal figlio, il piccolo Mouadh di soli otto anni, che da allora è traumatizzato.

Due giorni dopo, il 5 aprile, al-Kaniat rapì tre sorelle della famiglia Harouda: Hawa di 46 anni, Leila di 45 e Reem di 37, quest’ultima madre di un bambino di quattro anni e all’epoca incinta. I loro corpi vennero trovati il 22 gennaio 2021 in una fossa comune.

Secondo l’Autorità generale per la ricerca e l’identificazione delle persone scomparse, la maggior parte dei 343 corpi recuperati dalle fosse comuni e successivamente esaminati avevano le mani legate, erano bendati o incappucciati e presentavano ferite da colpi d’arma da fuoco soprattutto nella parte superiore del tronco.

Sanno bene, le persone sopravvissute, che cinque anni di crimini non avrebbero potuto essere commessi senza l’acquiescenza di vari successivi governi, autorità di fatto e altri potentati locali: a essere chiamati in causa sono anzitutto il governo di accordo nazionale riconosciuto dalla comunità internazionale e le rivali Forze armate arabe libiche del generale Haftar, che a turno hanno fornito ad al-Kaniat legittimità nonché appoggio materiale e finanziario.

Solo 37 famiglie hanno ricevuto un risarcimento da un organismo governativo che si occupa del sostegno economico ai parenti dei “martiri”. La procura di Tripoli ha emesso 400 mandati di cattura nei confronti di miliziani di al-Kaniat. Sono state emesse 29 condanne a lunghe pene detentive o a morte, ma 24 di queste in contumacia. In altre parole, per i cinque anni di mattanza a Tarhouna sono in carcere solo cinque persone. pesci piccoli.

Il 4 ottobre la Corte penale internazionale ha spiccato mandati di cattura nei confronti di sei miliziani di al-Kaniat per crimini di guerra. Non trattandosi di Netanyahu, la cosa ha lasciato indifferente il mondo e non si è parlato di “giustizia politica”. Uno dei ricercati è Abdelbari al-Shaqaqi, esattamente l’uomo a capo della famigerata milizia nota come Apparato di deterrenza per combattere il terrorismo e il crimine organizzato cui era stata affidata la raccolta delle prove sui massacri di Tarhouna.

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