“Riaprite gli archivi, il nome del Mostro di Firenze è nelle carte”: a invocare giustizia, in una lettera anonima pubblicata sul giornale L’altro quotidiano, è il familiare di una delle vittime del serial killer che tra la fine degli anni ’60 e la metà degli ’80 ha seminato la morte nelle campagne fiorentine, colpendo e trucidando giovani coppie a caso. Nella fattispecie, chi ha scritto il messaggio è parente di una delle vittime del Mostro senza giudicato. Lettera che segue un’istanza di riapertura delle indagini inviata, attraverso l’avvocato Alessio Tranfia, pochi giorni fa alla Procura di Firenze insieme a memorie e perizie che tracciano uno scenario indiziario molto preciso. “Sono passati ormai tre anni dai ripetuti dinieghi della Procura di Firenze e ancora oggi ci si impedisce di fare indagini, non permettendo di accedere agli atti e ai reperti. Ci sarebbe una pista molto interessante ma sono restii a percorrerla”, si legge dal testo del messaggio.
La pista a cui so riferisce questa persona che è rimasta anonima riguarda un sospettato del Mugello fino ad oggi poco approfondito dagli inquirenti. A individuarla e percorrerla è stato l’ex consulente di parte, documentarista e scrittore Paolo Cochi che ha trovato nuovi elementi di indagine riguardo a un sospettato di Borgo San Lorenzo, diffusi lo scorso ottobre nel corso del programma televisivo Far West. Cochi ha riferito di questo sospettato ai magistrati che adesso seguono il caso del Mostro e dei suoi otto duplici omicidi di cui molti ancora ad oggi irrisolti, nonostante le condanne negli anni ’90 verso Pietro Pacciani (poi assolto e morto prima di quella definitiva) e dei cosiddetti “compagni di merende” che però non furono condannati per tutti gli omicidi, lasciando molti dubbi aperti. Pietro Pacciani è morto prima che si potesse arrivare alla sentenza definitiva che c’è stata invece per i compagni di merende ma i processi ci restituiscono una realtà giudiziaria più complessa di quella a cui si è arrivati negli anni ‘90 che lascia impuniti e irrisolti alcuni dei crimini. L’assenza di prove schiaccianti ha sempre sollevato molti e profondi dubbi sulla loro reale colpevolezza rispetto agli otto duplici omicidi. A “incastrare” Pacciani fu una cartuccia ritrovata nel suo giardino, compatibile con quelle che avrebbe potuto utilizzare il Mostro ma dalle due perizie dei Ris emerse che la pallottola non era mai stata incamerata dalla Beretta e addirittura fu manomessa, come risultò dalle varie analisi fatte su richiesta del Pm di allora.
Tornando, alla lettera in questione, si tratta di un appello accorato alla Procura di Firenze che per anni si è occupata del caso. “Alla storia dei compagni di merende non ho mai creduto”, si conclude così il testo “e quindi penso sia giunto il momento di aprire gli archivi con i documenti e i reperti”. Quello del Mostro è difatti un cold case anomalo per cui non è stato permesso ai familiari né agli avvocati di accedere agli atti di indagine. Per questa saga oscura forse si avvicina il momento di fare luce su un’ombra che ha gravato per molti anni sulle campagne del Mugello. E dopo l’inchiesta di Far West, un altro familiare di una delle vittime ha invocato giustizia, portando in Procura elementi di indagine tra cui memorie e perizie. Tra tutti, merita un accenno la richiesta di confronto di Dna sul Rosso del Mugello, un uomo che a fronte di numerosi indizi non è mai entrato nella lista dei sospettati della Squadra Anti-Mostro. Si tratta di un cacciatore, morto nel 2009, con precedenti penali. Viveva a Borgo San Lorenzo nel cuore del Mugello, nella frazione Le fontanine ovvero la stessa in cui fu compiuto il delitto del 14 settembre del ‘74 ai danni di Stefania Pettini e Pasquale Gentilcore: la seconda coppia trucidata dal Mostro. Il Dna da cui ripartire ed è quello appartenente a un profilo ignoto ritrovato sui pantaloni di Jean Micheal Kraveichvili, vittima dell’ultimo delitto del Mostro, l’omicidio di Scopeti in cui furono trucidati i due turisti francesi all’interno della loro tenda da campeggio. Perché c’è del Dna del Mostro, in base a quanto emerso dalle indagini, sulle lettere di minaccia inviate ai magistrati, sigillate tutte dalla stessa persona: non è nessuno dei vecchi sospettati con cui non c’è stata mai corrispondenza genetica. Il Dna del rosso del Mugello non è mai stato comparato. Ma la pista fu già indicata da un rapporto dei carabinieri del 1984, in cui compare un sospettato che nel febbraio del 1965 fu accusato del furto di quattro pistole e una di questa non fu mai ritrovata. Il furto avvenne in un’armeria di Borgo San Lorenzo, dove viveva il rosso del Mugello, e l’arma era una Beretta calibro 22, la stessa arma del Mostro di Firenze com’è ben noto.
C’è ancora un altro oggetto che potrebbe regalare nuove prove genetiche per incastrare il vero mostro di Firenze. Si tratta della macchina da scrivere ritrovata in una vecchia soffitta e acquistata dallo stesso Paolo Cochi dal figlio del sospettato che aveva messo un annuncio su Internet. La macchina, secondo la grafologa forense Clarissa Metrella, è compatibile con le lettere di minaccia arrivate nel 1985 ai magistrati Vigna, Canessa e Fleury. La compatibilità è dettata da segni di usura sulla macchina che spiegherebbero alcune anomalie grafiche ed omografie delle lettere fotocopiate. Tuttavia, per fugare ogni dubbio bisognerebbe accedere agli originali e sottoporli a un test del Dna per ritrovare eventuali tracce sul retro delle buste, dove sono state incollate. L’istanza completa di perizie e memorie è stata depositata e potrebbe portare alla soluzione del cold case più complesso della storia d’Italia dal secondo Dopoguerra.