I pm di Firenze Luca Turco e Antonino Nastasi hanno confermato la richiesta di rinvio a giudizio per Matteo Renzi e altre dieci persone, nelle conclusioni formulate al termine dell’udienza preliminare del processo sulla fondazione Open. Oltre a Renzi sono imputati tutti i componenti del cosiddetto “giglio magico“, la cerchia più ristretta del leader di Italia viva: gli ex ministri Maria Elena Boschi e Luca Lotti, l’avvocato Alberto Bianchi e l’imprenditore Marco Carrai. Tutti sono accusati di finanziamento illecito al Partito democratico: secondo l’accusa, infatti, Open rappresentava di fatto l’articolazione giuridica della corrente renziana del Pd, e tra il 2012 e il 2018 ha ricevuto “in violazione della normativa” circa 3,5 milioni di euro, spesi – almeno in parte – per sostenere direttamente l’attività politica dell’ex segretario. Lotti e Bianchi sono imputati anche di corruzione: i pm sostengono che l’ex ministro si sia adoperato per ottenere leggi favorevoli ai gruppi imprenditoriali Toto (costruzioni) e British American Tobacco in cambio di finanziamenti a Open. Dopo i pm sono intervenuti alcuni dei difensori; gli altri parleranno all’udienza del 12 dicembre, dopodiché la gup Sara Farini si ritirerà in camera di consiglio per decidere se mandare a dibattimento gli imputati (o anche solo alcuni di essi) o dichiarare il proscioglimento.

Il procuratore aggiunto Turco – prossimo alla pensione – ha ripercorso la travagliata storia del procedimento, a lungo sospeso in attesa prima della Corte costituzionale e poi del Parlamento. Nel luglio 2023, infatti, la Consulta ha accolto il ricorso sollevato dal Senato su richiesta di Renzi, stabilendo (in contrasto con l’orientamento seguito fino ad allora dalla Cassazione) che le mail e le chat dell’ex premier sequestrate su dispositivi di terzi sono equiparabili a corrispondenza e quindi non possono essere acquisite senza l’ok della Camera di appartenenza del parlamentare. A quel punto i pm hanno chiesto le autorizzazioni ex post per i messaggi di Renzi, Lotti, Boschi e dell’ex tesoriere dem Francesco Bonifazi (non indagato), negate sia da Montecitorio che da Palazzo Madama. Nel frattempo il capo di Iv ha ingaggiato una battaglia mediatica contro i pm, denunciandoli sia in sede penale che disciplinare: tutti gli esposti sono stati archiviati.

“Finalmente ci avviamo alla conclusione dell’udienza preliminare di un processo che, purtroppo, ha già provocato polemiche infinite. Soltanto nelle ultime udienze si è riusciti a recuperare un clima di normalità. Le polemiche, talvolta, servono a nascondere la realtà dei fatti“, ha esordito Turco. “C’è una parte che ha confuso il senso delle alte prerogative parlamentari con una sorta di immanente privilegiata intangibilità. Abbiamo avuto parti e difensori che hanno ritenuto di perseguire la strategia dell’aggressione nei confronti della pubblica accusa, della demonizzazione dell’avversario processuale; si voleva impedire che questo processo si svolgesse in un clima di normalità, utilizzando nei confronti dei magistrati la clava delle denunce penali, dell’esposizione mediatica, dell’incolpazione disciplinare”, ha incalzato.

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