Nelle sue altisonanti intenzioni, l’Italia sarebbe stata ancora il cuore pulsante della produzione. Lo ha detto e ripetuto tante volte, Carlos Tavares, durante i quattro anni alla guida di Stellantis che si sono conclusi domenica sera con una separazione ben retribuita. Chissà se – sotto sotto – ne era convinto davvero almeno lui. Perché fuori dagli uffici del gruppo automobilistico le sue promesse hanno perso credito fino a diventare intenzioni con scarsa credibilità dentro i palazzi di governo e nelle piazze dei lavoratori che è riuscito a riempire unendo i sindacati dopo decenni di spaccature. Lascia un’eredità pesante, ma in senso negativo. L’amministratore delegato se ne va alla vigilia di un anno destinato a segnare il peggior risultato dal 1957 con circa 500mila unità prodotte e cassa integrazione dilagante in tutti gli stabilimenti, a iniziare da Mirafiori che nell’ultimo trimestre del 2024 avrà lavorato per 30 giorni scarsi.

Diceva, appena due anni fa, a proposito della 500 elettrica prodotta nella fabbrica torinese: “È la più venduta in Europa e ne possiamo vendere molte di più, ovviamente questo dipende dalla disponibilità dei componenti. Le potenzialità sono enormi”. Ora la produzione è ferma per mancanza di domanda, tra prezzi vertiginosi e una batteria poco efficiente. Stellantis è stata costretta a incentivare 1.500 uscite a Torino nel 2023, altri 3mila operai convivono con il contratto di solidarietà e il reparto Carrozzerie è rimasto chiuso a ottobre per riaprire con un turno unico a novembre e richiudere dall’1 dicembre fino ad almeno il 6 gennaio.

Di fronte a numeri impietosi, Tavares ha rilanciato con la promessa di portare a Mirafiori la 500 ibrida nel 2025. La realtà è che la produzione non partirà prima del 2026 e sarà un sospiro di sollievo sempre che le stime di vendita – 80/100mila vetture all’anno – verranno rispettate. Il mix complessivo della produzione italiana, nel frattempo, potrebbe essere notevolmente cambiato visto che l’unica auto mass market – la Pandina assemblata a Pomigliano d’Arco – inizia a flettere e subirà la concorrenza della nuova Grande Panda assegnata allo stabilimento serbo di Kragujevac. Molto dipenderà dai prezzi, che è uno dei grandi temi dell’era Tavares. Sosteneva: “Stellantis non ha bisogno di brand low cost, ma di modelli accessibili. Ho tanti core brand come Fiat e Citroën che hanno un posizionamento chiaro”. I numeri raccontano altro. Illuminanti i dati europei dell’ultimo mese: Dacia ha venduto 42.466 auto a ottobre, Citroën 19.649 e Fiat si è fermata appena a 17.577. “Altri hanno creato il caos e voi chiedete a me di risolvere la situazione e di garantire posti di lavoro”, è stata una delle sue esternazioni. Il riferimento, chiaro, era al mercato dell’elettrico che non sfonda.

La realtà però racconta – ancor più in Italia – di una casa automobilistica che non intercetta più il gusto dei consumatori, al di là della motorizzazione. Tra gennaio e novembre – dati Dataforce – nel nostro Paese si sono vendute 1.452.973 auto, lo 0,2% in meno dello stesso periodo dello scorso anno. Hanno pesato i 900 milioni di euro di incentivi statali, chiesti e ottenuti proprio da Stellantis. Risultato? In un mercato stabile, il gruppo ha venduto 428.205 vetture rispetto alle 472.729 dello stesso periodo del 2023, in diminuzione del 29,3%. Nei primi 11 mesi dell’anno la quota di mercato è del 29,4% (era 32,4% nel 2023). Secondo Anfia, fino a ottobre, Fiat ha venduto il 13,5% in meno di auto rispetto allo scorso anno. Intanto Toyota è cresciuta del 25,9%, Dacia del 13 e Renault del 12,9. Insomma, Tavares si è fatto mangiare quote di mercato in casa. Contestualmente Jeep ha perso il 3,7% e Citroën non è nemmeno nella top ten di vendite in Italia.

Nel campo dell’elettrico – dove sosteneva di voler scalzare Tesla – i dati sono ancora più drammatici: Model 3 e Model Y della casa automobilistica di Elon Musk hanno consegnato oltre 13mila vetture, Jeep Avenger e Fiat 500 si sono fermate a poco più di 4mila. Ora molto è affidato ai 5 modelli della piattaforma Medium che entrerà in funzione a Melfi, quattro dei quali partiranno solo nel 2026 (due Jeep, una Ds e una Lancia). A quel punto l’impianto – da cui è scomparsa la 500X sostituita dalla nuova 600 assegnata alla Polonia – dovrebbe produrre 260mila vetture arrivando a saturazione, secondo l’azienda. Ma lo scetticismo serpeggia tra i sindacati e le vendite di Ds e Lancia, con modelli costosi e volumi risibili, non promettono nulla di buono. La fabbrica di Cassino ha altri modelli di premium e lusso assegnati che non promettono grandi numeri ed è così che la frittata è fatta.

Ciliegina sulla torta, il mancato rilancio di Maserati. I manager del Tridente – sono passati esattamente quattro anni, correva il dicembre 2020 – promettevano 13 modelli inediti e un rilancio del marchio. L’impianto di Grugliascodopo le promesse del 2021, rispedite al mittente dalla Fiom – è stato chiuso, l’Innovation Lab è in panne, i numeri della Folgore full electric sono una barzelletta con vendite che si contano sulle dita di una mano in Italia. Il dramma è nei numeri: 220 auto prodotte nello storico stabilimento di Modena tra gennaio e settembre, 2.030 unità a Mirafiori e circa 5mila a Cassino. E nella fabbrica torinese le nuove piattaforme dedicate alle Maserati non si vedranno prima del 2027. Un deserto di volumi che si riflette sull’occupazione. Tavares va via con i 2.700 dipendenti della fabbrica laziale in contratto di solidarietà fino al 31 dicembre, come altri 3.187 a Mirafiori, 220 a Modena e 5.361 a Melfi (fino al 26 giugno 2025). La cassa integrazione continua a fasi alterne anche a Pomigliano, Atessa e Termoli.

A rischio c’è anche l’intera filiera italiana, in affanno ancora maggiore a causa della frenata dei produttori tedeschi. Un’ecosistema composto da 5.439 imprese e 272.000 addetti – tra diretti e indiretti – che rappresentano il 6,8% degli occupati del settore manifatturiero italiano, secondo i dati Anfia. Nel 2025 saranno con ogni probabilità i primi a scontrarsi con la crisi, visto che Stellantis ha già annunciato – insieme alla serrata di Mirafiori a dicembre – la necessità di stanziare fondi per la cassa integrazione durante il prossimo anno. “Noi avevamo già chiare le proporzioni del fallimento dell’amministratore delegato. Si sta aggiungendo a quello industriale e occupazionale anche quello finanziario”, avvisa il segretario generale della Fiom Michele De Palma reiterando la richiesta alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni di convocare i vertici. Va avanti così da mesi. Del resto, i metalmeccanici della Cgil andarono a bussare all’ufficio parigino di Tavares nel giugno 2023, visto che in Italia non si era mai presentato. Lo avrebbe fatto solo otto mesi più tardi, aprile 2024, alla vigilia di uno storico sciopero dell’automotive torinese. “Noi qui ci sentiamo a casa, siamo leader di mercato. Non abbiamo alcuna intenzione di andarcene”, disse. Intanto se n’è andato lui. Stellantis chissà.

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