Non è ancora stata pubblicata la Relazione sull’applicazione della legge 194, quest’anno in ritardo ancora più di quanto già accaduto in passato (in base alla stessa legge sarebbe dovuta uscire a febbraio 2024). L’Istituto superiore di sanità, interpellato da ilfattoquotidiano.it, ha dichiarato di averla inviata al ministero della Salute e quest’ultimo ha affermato di averla trasmessa al Parlamento. Ora si attende però la diffusione. La Relazione non è l’unico tassello mancante. Sul sito del ministero, infatti, dovrebbe essere resa disponibile una mappa con i presidi sanitari in cui è possibile abortire. Lo prevedono gli “Interventi per il miglioramento della qualità dei dati, dell’offerta e dell’appropriatezza delle procedure di esecuzione e della divulgazione delle informazioni sull’interruzione volontaria di gravidanza”, un corposo progetto coordinato dall’ISS (Istituto superiore di sanità) finanziato per 100mila euro con un progetto del ministero della Salute del 2022 e articolato in una serie di azioni tra cui, appunto, la mappa sui luoghi dell’IVG, un’informazione su cui l’Italia è in grave deficit. Un evidente caso di negligenza istituzionale che sembra manifestare una precisa volontà politica, come ha sottolineato Gilda Sportiello (M5S) l’8 novembre alla Camera nella sua replica a Marco Gemmato, sottosegretario di Stato per la salute, il quale rispondeva a un’interrogazione della stessa Sportiello sulla mancata pubblicazione della Relazione.

Il flusso dei dati sull’Ivg – Come funziona? Lo spiega al ilfattoquotidiano.it Serena Donati, responsabile scientifica del Sistema di sorveglianza epidemiologica dell’IVG presso l’ISS. Attraverso un questionario compilato per ciascuna IVG effettuata in Italia, l’ISTAT raccoglie via web informazioni sul luogo di rilascio del certificato, i servizi che effettuano gli interventi e le loro modalità di esecuzione oltre alle caratteristiche socio-demografiche della persona che chiede di abortire. Questi dati sono inseriti in una piattaforma e resi disponibili al pubblico in forma aggregata sul sito ISTAT (sono utili, ad esempio, per analizzare i fenomeni di mobilità). Nonostante l’indagine ISTAT sull’IVG sia tra quelle che prevedono sanzioni amministrative per le strutture che non inviano i dati, Donati definisce “critici” i tempi della loro trasmissione da parte di alcune regioni.

I dati sull’obiezione di coscienza sono invece raccolti dal ministero della Salute tramite le agenzie sanitarie regionali – osserviamo che non esiste una scheda uniforme di profilazione anonima del personale obiettore simile a quella che viene usata per le gestanti, dato inutile dal punto di vista epidemiologico ma utile dal altri punti di vista, come quello della policy sanitaria; a differenza dei primi, i dati dell’obiezione di coscienza non sono accessibili, neanche in forma aggregata, in formato “machine readable”, cioè tali da poter essere scaricati e processati autonomamente da chiunque, come previsto dalla normativa europea e nazionale.

Sia i dati raccolti dall’ISTAT che quelli raccolti dal Ministero sono inviati in forma aggregata all’ISS che, insieme all’ISTAT, li “pulisce” andando a verificare (per quanto riguarda i primi) se presentano omissioni o incongruenze e, nel caso, cercando di spiegarle o correggerle interpellando il soggetto che ha prodotto il dato, ricorrendo al confronto con le cartelle di dimissione ospedaliera (DSO). Un errore di codifica, ad esempio, si nasconde dietro ad un numero eccessivo di interventi chirurgici eseguiti con raschiamento, tecnica obsoleta e sconsigliata che dovrebbe essere sostituita da isterosuzione. Dopo averli puliti, corretti ed elaborati in tabelle, l’ISS li commenta e li invia al Ministero che apporta le proprie modifiche per poi inviare, infine, la relazione al Parlamento. “Nessun dato proveniente dai flussi sanitari è disponibile in tempo reale, ma quelli sull’IVG potrebbero essere diffusi in tempi più brevi se le regioni li fornissero più tempestivamente all’ISTAT e all’ISS”, spiega Donati.

Le richieste della società civile – La questione dell’accesso ai dati sull’interruzione volontaria di gravidanza e sull’obiezione di coscienza è stata ed è ancora oggetto di campagne da parte della società civile. Il 25 novembre scorso l’Associazione Luca Coscioni ha divulgato la versione aggiornata di “Mai dati”, campagna curata da Chiara Lalli e Sonia Montegiove che chiede dati aperti, dettagliati per struttura e aggiornati, “per sapere davvero com’è applicata la legge e per fornire una informazione adeguata”. Attraverso la richiesta di pubblico accesso agli atti prevista dal FOIA (freedom of information act) Lalli e Montegiove sono tornate, come nella prima versione della campagna, a chiedere alle regioni i dati aperti e dettagliati per struttura (un dato “aperto” vuol dire riutilizzabile in fogli di calcolo o altre applicazioni). Le regioni hanno risposto in modo diversificato, alcune addirittura non mandando i dati (Sicilia, Calabria e Abruzzo). Tra le più virtuose c’è il Veneto, che pubblica i dati dettagliati per struttura su un proprio sito dedicato di facile consultazione, ma anche in questo caso non “aperti”. Nessuna regione, dichiara l’Associazione Luca Coscioni ha risposto in modo del tutto completo alle richieste dalla campagna. “L’Organizzazione Mondiale della Sanità nelle sue linee guida 2022 per l’aborto ha sottolineato che l’accesso ad informazioni pertinenti, accurate e basate sulle più aggiornate evidenze scientifiche sia un diritto fondamentale da garantire per permettere decisioni consapevoli sulla propria salute sessuale e riproduttiva. Il ministero della Salute e le Regioni hanno delle lacune informative gravi sui servizi disponibili e ingiustificate, rispetto alle quali continueremo a mobilitarci”, afferma Giulia Sudano, presidente di Period think tank, associazione promotrice tra altre della campagna IVG Dati bene comune. Dateci i dati che sono già nostri, dicono insomma le associazioni, a come usarli ci pensiamo noi.

La mappa che non c’è – Uno dei modi in cui le attiviste vorrebbero poter usare questi dati è la creazione di mappe geolocalizzate sulla base di criteri predefiniti. Possiamo immaginare, per esempio, una cartina dell’Italia in cui ad ogni presidio sanitario che applica la legge 194 corrisponda un pallino verde, a quelli che la applicano “così così” corrisponda un pallino arancione e a quelli che non la applicano corrisponda un pallino rosso. Una mappa del genere sarebbe utile sia alle utenti che alle amministrazioni che organizzano (o dovrebbero organizzare) i servizi. Sulla base del progetto del ministero della Salute, richiamato all’inizio, il dicastero dovrebbe fare qualcosa di simile sul proprio sito, cioè una mappa degli ospedali in cui è possibile interrompere la gravidanza (in base alla relazione più recente, quella con i dati 2021, solo il 60% circa delle strutture con reparto di ostetricia e ginecologia effettua IVG . Tutte le altre azioni previste dal progetto sono state concluse o in fase di ultimazione e ad aprile si terrà il convegno di chiusura – riferisce Serena Donati. Ma di questa mappa, di competenza del Ministero, non abbiamo trovato traccia. Interpellato in merito dal fattoquotidiano.it, il ministero non risponde.

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