Non bisogna solo processare Alex Pompa, il giovane di Collegno (Torino) che nel 2020 uccise il padre per proteggere la madre nel corso dell’ennesima lite in famiglia: è anche necessario indagare il comportamento tenuto dal fratello, Loris, per verificare se è colpevole di concorso in omicidio volontario. È quanto ha detto nel corso della sua requisitoria il procuratore generale di Torino Giancarlo Avenati Bassi che – insieme al collega Alessandro Aghemo – sta sostenendo l’accusa nel processo d’appello bis. Il magistrato ha anticipato che chiederà alla Corte di trasmettere le carte per aprire un procedimento.

Alex Pompa era stato assolto in primo grado: secondo la Corte di assise aveva agito per legittima difesa. In appello, nel 2023, fu condannato a 6 anni, due mesi e venti giorni per omicidio volontario con una sentenza che però è stata annullata con rinvio dalla Cassazione. Nel nuovo processo i giudici – su indicazione della Suprema Corte – dovranno rivalutare il contesto in cui si è svolta la vicenda, il clima che si viveva in famiglia e lo stato di disagio psichico del giovane.

Il padre, Giuseppe Pompa, è stato descritto come un uomo irascibile, prevaricatore e ossessivo, dalle sfuriate frequenti e impetuose. La moglie, Maria Cotoia, cassiera in un supermarket, raccontò che il marito nel corso della giornata l’aveva contattata 101 volte sul telefonino solo perché credeva che al lavoro avesse salutato un collega. La procura di Torino ha sempre insistito sulla tesi dell’omicidio volontario.

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