“Il popolo e la nazione sono unità non frammentabili. Esiste una sola nazione così come vi è solamente un popolo italiano, senza che siano in alcun modo configurabili dei ‘popoli regionali’ che siano titolari di una porzione di sovranità”. C’è anche questo principio che viene ricordato dai giudici della Consulta nelle motivazioni della sentenza con cui ha dichiarato – lo scorso 14 novembre – incostituzionale la cessione di intere materie alle Regioni.
Regionalismo e unità del popolo – Perché se è vero che “una componente fondamentale della forma di Stato delineata dalla Costituzione è il regionalismo” dall’altra parte è al Parlamento che la legge fondamentale dello Stato italiano “riserva la competenza legislativa esclusiva in alcune materie affinché siano curate le esigenze unitarie e gli affida altresì dei compiti unificanti nei confronti del pluralismo regionale, che si esplicano principalmente attraverso la determinazione dei principi fondamentali nelle materie affidate alla competenza concorrente dello Stato e delle regioni… attraverso la competenza statale nelle cosiddette “materie trasversali” e mediante la perequazione finanziaria a favore dei territori con minore capacità fiscale per abitante…”. La Consulta sottolinea quindi che “l’unità del popolo e della nazione postula l’unicità della rappresentanza politica nazionale. Sul piano istituzionale, questa stessa rappresentanza e la conseguenziale cura delle esigenze unitarie sono affidate esclusivamente al Parlamento e in nessun caso possono essere riferite ai consigli regionali”.
Il ruolo del Parlamento – “Il regionalismo corrisponde ad un’esigenza insopprimibile della nostra società… Spetta, però, solo al Parlamento il compito di comporre la complessità del pluralismo istituzionale. La tutela delle esigenze unitarie, in una forma di governo che funziona secondo la logica maggioritaria, è espressione dell’indirizzo politico della maggioranza e del Governo, nel rispetto del quadro costituzionale. Tuttavia, la sede parlamentare consente – ricordano i giudici – un confronto trasparente con le forze di opposizione e permette di alimentare il dibattito nella sfera pubblica, soprattutto quando si discutono questioni che riguardano la vita di tutti i cittadini. Il Parlamento deve, inoltre, tutelare le esigenze unitarie tendenzialmente stabili, che trascendono la dialettica maggioranza opposizione“.
Materie non trasferibili – Secondo i giudici – il verdetto è stato redatto da Giovanni Pitruzzella – la Corte “non può esimersi dal rilevare che vi sono delle materie… alle quali afferiscono funzioni il cui trasferimento è, in linea di massima, difficilmente giustificabile secondo il principio di sussidiarietà. Vi sono, infatti, motivi di ordine sia giuridico che tecnico o economico, che ne precludono il trasferimento. Con riguardo a tali funzioni, l’onere di giustificare la devoluzione alla luce del principio di sussidiarietà diventa, perciò, particolarmente gravoso e complesso. Pertanto, le leggi di differenziazione che contemplassero funzioni concernenti le suddette materie potranno essere sottoposte ad uno scrutinio stretto di legittimità costituzionale”.
L’importanza dell’Ue – La Corte fa riferimento a materie in cui “predominano le regolamentazioni dell’Unione europea” come la politica commerciale comune, la tutela dell’ambiente, la produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia e le grandi reti di trasporto, ma anche le “norme generali sull’istruzione” che hanno una “valenza necessariamente generale ed unitaria” – le funzioni relative alla materia sulla “professioni” e i sistemi di comunicazione. Non è comunque esclusa “a priori, anche in queste materie la possibilità del trasferimento di alcune funzioni, ma questo deve trovare una più stringente giustificazione in relazione al contesto, alle esigenze di differenziazione, alla possibilità da parte delle regioni di dare attuazione al diritto unionale”.
Comunque “anche il trasferimento delle ulteriori funzioni, in particolare di quelle legislative, concernenti la materia ‘ordinamento della comunicazione’ incontra ostacoli di ordine giuridico e tecnico, che rendono eccezionali e residuali le funzioni che possono essere devolute. In tale materia confluiscono il diritto delle comunicazioni elettroniche e il diritto di internet, che trovano la loro disciplina in un complesso assai esteso di atti normativi dell’Unione europea, che hanno il precipuo scopo di realizzare un mercato unico digitale che sia inclusivo, competitivo e rispettoso dei diritti fondamentali”.
Del resto “proprio perché si tratta di creare e garantire il mercato unico europeo, in cui le comunicazioni elettroniche e internet svolgono un ruolo fondamentale, gli atti legislativi – prosegue la corte – europei sono, di regola, di massima armonizzazione, lasciando poco spazio agli Stati membri e precludendo, in linea di massima, regolamentazioni territorialmente frammentate che potrebbero fungere da ostacolo al funzionamento di tale mercato. Gran parte delle funzioni riguardanti la materia hanno finalità pro-concorrenziali e di tutela del consumatore e, perciò, afferiscono alla materia ‘tutela della concorrenza’ di competenza esclusiva dello Stato, potendo difficilmente essere separate da altre funzioni limitate esclusivamente alla comunicazione“.
Le funzioni – L’articolo 116 della Costituzione (che prevede che la legge ordinaria possa attribuire alle regioni “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia” sulla base di un’intesa fra lo Stato e la regione interessata.) “richiede che il trasferimento riguardi specifiche funzioni, di natura legislativa e/o amministrativa, e sia basato su una ragionevole giustificazione, espressione di un’idonea istruttoria, alla stregua del principio di sussidiarietà”. È quanto si legge nelle motivazioni della sentenza della Consulta, che si è espressa in merito alla legge sull’Autonomia dopo i ricorsi di quattro Regioni. “La ripartizione delle funzioni deve corrispondere al modo migliore per realizzare i principi costituzionali – sottolinea la Corte -L’adeguatezza dell’attribuzione della funzione ad un determinato livello territoriale di governo va valutata con riguardo ai criteri di efficacia ed efficienza, di equità e di responsabilità dell’autorità pubblica“.
Per la Consulta “l’autonomia differenziata deve essere funzionale a migliorare l’efficienza degli apparati pubblici, ad assicurare una maggiore responsabilità politica e a meglio rispondere alle attese e ai bisogni dei cittadini, in attuazione del principio di sussidiarietà- Questo implica due corollari -si legge nelle 109 pagine di motivazione – da un lato, il trasferimento della funzione non dovrebbe aumentare la spesa pubblica ma dovrebbe o ridurla o mantenerla inalterata, nel quale ultimo caso la gestione più efficiente si tradurrà in un miglioramento del servizio; dall’altro lato, il criterio da seguire per finanziare le funzioni trasferite dovrebbe considerare il costo depurato dalle inefficienze (come può essere il costo e fabbisogno standard, da applicare se la funzione attiene ad un Lep)”.
Il paracadute finanziario non basta –La questione finanziaria quindi è importante anche se non basta. “Appare congruo che, se una regione chiede ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia rispetto alle altre regioni ordinarie, diventi responsabile, anche sotto il profilo finanziario, delle risorse che l’intesa e la legge rinforzata individuano come modalità di finanziamento delle funzioni attribuite. Un meccanismo che consenta di disporre di una sorta di ‘paracadute’ finanziario annuale, invece, non si giustifica per tali funzioni aggiuntive, che la regione dovrebbe proporsi di gestire al posto dello Stato proprio confidando sulla maggiore efficacia ed efficienza del livello di governo più prossimo al territorio” stabilisce la Corte esprimendosi nello specifico al ricorso della Puglia riguardo ai profili finanziari della legge (articolo 8, comma 2) che consentirebbe alla regione di “spendere a piacimento sicura della successiva copertura”. “Ciò, peraltro – prosegue la Corte – non esclude la possibilità, in via straordinaria, di forme di aggiustamento delle compartecipazioni, ma queste dovranno essere regolate dalla legge rinforzata e non potranno che avvenire all’interno di un trasparente processo che coinvolga anche il Parlamento”.
Il nodo LEP – Secondo i giudici le finalità indicate nella legge per i LEP – i livelli essenziali delle prestazioni – “si rivelano alquanto generiche e inidonee a guidare il potere legislativo delegato, tanto che risulta difficile immaginare che possano fungere da parametro in un eventuale sindacato sui futuri decreti legislativi per eccesso di delega”. Senza dimenticare che la Costituzione “esige che il potere governativo sia guidato dalle Camere”.
I giudici sottolineano che i LEP “implicano una delicata scelta politica, perché si tratta – fondamentalmente – di bilanciare uguaglianza dei privati e autonomia regionale, diritti e esigenze finanziarie e anche i diversi diritti fra loro. Si tratta, in definitiva, di decidere i livelli delle prestazioni relative ai diritti civili e sociali, con le risorse necessarie per garantire uno standard uniforme delle stesse prestazioni in tutto il territorio nazionale. Il vizio alla base dell’art. 3, comma 1, sta nella pretesa di dettare contemporaneamente criteri direttivi – per relationem – con riferimento a numerose e variegate materie. Poiché ogni materia ha le sue peculiarità e richiede distinte valutazioni e delicati bilanciamenti, una determinazione plurisettoriale di criteri direttivi per la fissazione dei LEP, che non moduli tali criteri in relazione ai diversi settori, risulta inevitabilmente destinata alla genericità”. Del resto, fino alla legge n. 197 del 2022 la determinazione dei LEP “è stata compiuta in modo distinto per ciascuna materia”. Quindi il “conferimento di un potere legislativo delegato illegittimo per insufficienza di criteri direttivi delinea un quadro illegittimo dell’azione regionale, dato che i LEP intersecano numerose materie regionali”.
La Corte ribadisce quindi che “la determinazione dei LEP dovrà dunque avvenire (anche con l’ausilio del lavoro svolto dal Comitato tecnico scientifico con funzioni istruttorie per l’individuazione dei LEP, istituito con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 23 marzo 2023) nel rispetto dei principi costituzionali, quali richiamati dalla presente sentenza”.