VENEZIA – La parola ergastolo, per sua stessa natura, evoca la morte civile, una vita dietro le sbarre per aver tolto la vita a qualcuno. Fine pena mai, e quindi il massimo della pena, in uno stato di diritto. Ma quando Gino Cecchettin, il papà di Giulia, assassinata un anno fa dall’ex fidanzato a colpi di coltello, esce dall’aula della Corte d’Assise dove quella parola è stata appena pronunciata, non è il senso dell’appagamento che accompagna la sua riflessione. È il vuoto totale di un padre che ha perso irrimediabilmente la figlia e sta cercando di tenerne vivo il ricordo, per impedire che altri femminicidi si consumino. Tra il tutto e il nulla c’è questo ingegnere alto e mite, dal sorriso eternamente triste, costretto a convivere per sempre con il proprio dolore.

“Abbiamo perso tutti come società, Giulia non ce la ridaranno mai. Non posso dirmi sollevato dalla sentenza, che come cittadino rispetto, perché come uomo mi sento sconfitto. Come padre per me non è cambiato niente, rispetto a ieri o domani”. Il commento è di un realismo amaro, senza alternative. Giulia non tornerà dalla sua famiglia, mentre Filippo Turetta tornerà in una cella del carcere del Campone a Verona, dove continuerà a scontare la sua pena infinita. Cecchettin risponde ai giornalisti caricandosi il peso che anche una condanna all’ergastolo per l’assassino non può eliminare. “Questa è stata una tappa, la nostra battaglia continua… adesso si riparte, con i messaggi di sempre, andiamo avanti cercando di salvare altre vite. Aiutiamoci, c’è tanto da fare”. Quella di Giulia non la può più salvare. “Io ho perso tutto… non mi aspettavo le scuse di Turetta. Al suo pentimento che non è venuto non ci penso”.

Per un attimo si irrigidisce Cecchettin, quando una giornalista gli chiede se la sentenza abbia onorato la memoria di Giulia. “Non siamo qui oggi per onorare la memoria di Giulia, questo è un passaggio legale necessario…”. E a chi domanda se sia dispiaciuto del mancato riconoscimento dell’aggravante della crudeltà, replica asciutto: “Bisognerebbe capire cos’è la crudeltà”.

La verità giudiziaria di primo grado è sintetizzata dal dispositivo che il giudice Stefano Manduzio legge a metà pomeriggio, dopo sei ore e mezzo di camera di consiglio. Il dilemma per la corte era soltanto quello dell’ergastolo da infliggere a un ragazzo dii 23 anni, padovano di Torreglia, che ha confessato il delitto dopo aver ucciso in modo bestiale, aver nascosto il corpo di Giulia in un dirupo, aver guidato fino in Germania per quasi una settimana, prima di arrendersi quando non aveva più soldi né benzina. La sentenza ha accolto la richiesta del pubblico ministero Andrea Petroni, secondo cui Filippo avrebbe potuto scegliere in modo diverso di fronte al rifiuto della sua compagna di università, convinta ad interrompere la loro relazione perché lui era possessivo asfissiante, non lasciava spiragli di autosufficienza nella sua esistenza.

La pena dell’ergastolo è stata decisa dalla mancata concessione delle attenuanti generiche a Turetta, nonostante egli fosse incensurato. Il dispositivo non ne fa cenno, anche perché il comportamento collaborativo è stato tardivo, frutto di una parziale maturazione in carcere. I giudici hanno ritenuto l’imputato colpevole di omicidio volontario, con la decisiva aggravante della premeditazione. Hanno ritenuto convincente la ricostruzione dell’accusa secondo cui nei quattro giorni precedenti la tragica sera dell’11 novembre 2023 Filippo aveva studiato tutti gli step preparandosi a mettere in atto un sequestro di persona che sarebbe culminato nel progetto (lo ha confermato lui stesso) “di toglierle dopo un po’ la vita”. Ecco le ricognizioni su internet dei luoghi per tenerla ostaggio, l’acquisto di corda e sacchi dell’immondizia, perfino di un coltello. Poi l’aveva uccisa quando lei aveva rifiutato l’ultima richiesta di tornare assieme.

Sono cadute, invece, due delle aggravanti contestate: l’aver agito con crudeltà e gli atti persecutori, uno stalking prolungato nel tempo. È rimasta in piedi, invece, l’aggravante di aver infierito su una persona a cui era stato legato da relazione affettiva. A contorno, anche i reati di sequestro, occultamento di cadavere e porto d’arma. Non avendo concesso le attenuanti generiche, i giudici non si sono nemmeno posti il problema di soppesare se esse siano equivalenti o prevalenti sulle aggravanti. L’ergastolo comporta l’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Il risarcimento danni, che sarà quantificato in un giudizio civile, ha per il momento una provvisionale di 760 mila euro: 500 mila euro a Gino Cecchettin, 100 mila ciascuno a Elena e Davide, i due fratelli di Giulia, 30 mila euro alla nonna Carla Gatto, 30 mila euro allo zio Alessio.

Tra 90 giorni sapremo le motivazioni a sostegno dell’ergastolo, un epilogo che sembrava piuttosto scontato nonostante l’avvocato difensore Giovanni Caruso avesse tentato di dimostrare che non c’era premeditazione e che comunque la pena deve avere una funzione di recupero, non può suonare come una condanna a morte nei confronti di chi è poco più di un ragazzo. Dopo la sentenza ha detto: “Turetta ha compreso la decisione, gliene ho spiegato il senso. È un po’ stordito, mi ha ringraziato con la timidezza che avete imparato a conoscere”. L’appello? “Ora facciamo decantare un po’ la situazione e poi ragioniamo sul da farsi”.

“Io non sono per il perdono, non perdonerò mai chi ha ucciso mia nipote e non perdonerò mai chi fa del male alle donne” ha commentato Andrea Camerotto, zio materno di Giulia. “Per me Filippo non esiste. La crudeltà c’è stata. In quella mezz’ora poteva ritornare in sé e non lo ha fatto: è stato veramente crudele. Ognuna di queste due famiglie ha il proprio dolore. Spero che dalla parte di Turetta si soffra un po’ di più, pensando che Giulia non c’è più, mentre Filippo è qui, anche se andrà in carcere”.

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Ergastolo a Filippo Turetta: che cosa resta ora? Per qualcuno, del rancore

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