Diritti

La norma inapplicata sul disability manager: c’è solo in quattro regioni. Così il lavoro non è per tutti

Dal 2015, con il Jobs Act, anche in Italia l’inserimento lavorativo delle persone con disabilità è affidato in linea teorica al disability manager, che deve saperle valorizzare, garantendo loro un lavoro dignitoso e percorsi di carriera. La pubblica amministrazione ha l’obbligo di dotarsi di questa figura; non vale lo stesso per il settore privato, che […]

Hai già letto 5 articoli
questo mese.

PER CONTINUARE A LEGGERE

1 € PER IL PRIMO MESE

Dal 2015, con il Jobs Act, anche in Italia l’inserimento lavorativo delle persone con disabilità è affidato in linea teorica al disability manager, che deve saperle valorizzare, garantendo loro un lavoro dignitoso e percorsi di carriera. La pubblica amministrazione ha l’obbligo di dotarsi di questa figura; non vale lo stesso per il settore privato, che quindi spesso ne è privo. In altri Paesi, come Stati Uniti, Canada e Paesi scandinavi, questo ruolo è presente e diffuso da molto più tempo.

“La regolamentazione di questa figura professionale in Italia ha delle lacune enormi – spiega Mauro Buzzi, presidente di Federazione Disability Management –: manca una norma nazionale univoca che ne definisca le competenze richieste e il percorso formativo; il riconoscimento del ruolo è lasciato alla volontà delle singole Regioni. Lombardia, Lazio, Valle D’Aosta e Sardegna hanno costruito un profilo professionale nel proprio quadro regionale delle professioni, altrove non c’è traccia di questa figura; questo alimenta una disparità che si riflette sull’inclusione lavorativa delle persone con disabilità e sulla possibilità delle imprese di avere un sostegno professionale per favorirla. Non ci sono né sanzioni né controlli da parte dello Stato e questo fa sì che le pubbliche amministrazioni locali, in larga misura, lo evadano. Nella maggior parte delle amministrazioni centrali, quest’obbligo si trasforma in una semplice investitura del dirigente di turno, a cui viene attribuito il ruolo del disability manager senza verificare se abbia le competenze necessarie”.

Secondo Buzzi la causa principale di questo fallimento “è l’assenza di progettualità sulle misure a sostegno delle persone con disabilità; c’è molta letteratura in merito, che però non si traduce in atti concreti”. Anche in quelle piccole e medie aziende in cui, ultimamente, c’è maggior sensibilità al tema, spesso mancano le risorse per garantire a chi ne ha bisogno la professionalità di questa figura.

Lavoratori e lavoratrici, inevitabilmente, subiscono una discriminazione. L’assenza del disability manager fa sì che le necessità delle persone con disabilità siano lasciate al caso; l’attribuzione del ruolo a una figura non competente comporta spesso, per esempio, una conoscenza parziale o superficiale del ventaglio delle disabilità, problemi nella gestione dei gruppi di lavoro, difficoltà a fornire gli accomodamenti ragionevoli.

Elio Benvenuti, disability manager, spiega: “Serve un cambiamento anche culturale, sia nel pubblico che nel privato, affinché in ambito lavorativo si eviti la logica della sottrazione o una visione pietistica verso le persone con disabilità, che le relega al ruolo di soggetti passivi e in difficoltà, ma devono poter essere valorizzate. Perché ciò avvenga, il disability manager non deve più essere considerato una figura accessoria, a cui non è garantita dallo Stato neppure la formazione, ma dev’essere legittimato a esercitare il suo ruolo di agente di cambiamento sul clima aziendale”.