di Legambiente
Sul futuro energetico del Paese gli italiani hanno le idee chiare. L’81% è per un no secco al nucleare. Un dato in crescita del +6% rispetto a cinque mesi fa, quando i contrari al nucleare erano al 75%. A scattare questa fotografia è la nuova indagine Ipsos “Gli Italiani e l’energia”, realizzata per Legambiente, Nuova Ecologia eKyoto Club, e presentata a Roma in occasione della due giorni del XVII Forum QualEnergia. A pesare su questo no deciso al nucleare è la percezione dei rischi correlati al ritorno dell’atomo a ai costi nascosti. L’effetto Nimby si riflette anche tra coloro che sono aperti a valutare un ritorno a questa tecnologia: solo il 18% sarebbe disposto ad accettare la costruzione di un sito a una distanza minima di dieci chilometri dalla sua abitazione, mentre il 20% non lo vuole per nulla. Per quanto riguarda i possibili benefici secondo il 43% del campione il rientro dall’investimento si avrà dai 20 anni in su o addirittura non ci sarà, in quanto i costi per produrre questo tipo di energia sono incalcolabili.
Dall’altro lato, per gli italiani la strada da seguire è un’altra, è quella della transizione verso le fonti pulite appoggiata dal 52% degli intervistati e che permetterebbe di ridurre la dipendenza dai paesi esteri produttori di fonti fossili (35%); ma anche ridurre il costo energetico, avvertito come un ulteriore effetto positivo dal 37% degli italiani, e di autoprodurre la propria energia (35%). Inoltre l’85% degli italiani associa le fonti rinnovabili alla sostenibilità ambientale, e rispetto al dato sui tempi di attesa per trarre vantaggio dall’investimento, il 44% ritiene che i benefici ci saranno entro dieci anni.
“Il contributo sempre più residuale dell’atomo per produrre elettricità nei prossimi decenni nel mondo è dovuto ai costi esorbitanti di questa tecnologia, sempre maggiori a quelle delle rinnovabili in tutti i continenti, come risulta chiaramente nei rapporti di una fonte non ambientalista come l’Agenzia Internazionale dell’Energia – dichiara Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente. Le imprese nel mondo stanno investendo quasi esclusivamente in impianti a fonti pulite: lo scorso anno, secondo i dati di IRENA, in tutto il mondo, gli impianti a fonti rinnovabili hanno rappresentato l’86% della nuova potenza installata per produrre elettricità, mentre quelli a fonti fossili e gli impianti nucleari hanno contribuito solo per il 14%. Basterebbero questi pochi dati per non riaprire in Italia una discussione che pensavamo di aver chiuso, per ben due volte, con il voto referendario del 1987 e 2011. Il nucleare è morto, e non siamo stati noi ambientalisti ad ucciderlo, ma un killer insospettabile: il libero mercato. Ne prenda atto il governo italiano”.
Per Legambiente è fondamentale accelerare sulle fonti rinnovabili e realizzare più impianti a fonti pulite, su cui l’Italia è in forte ritardo. Nonostante la Penisola, ad oggi abbia raggiunto e superato l’obiettivo del Decreto Aree Idonee al 2024, pari a 16.109 MW, realizzando dal 2021 al 2024 17.880 MW, l’andamento delle installazioni è ancora troppo basso e di questo passo il Paese rischia di non raggiungere l’obiettivo 2030. Negli ultimi quattro anni è stato, infatti, realizzato appena il 23,2% dell’obiettivo al 2030.
Mancano ancora all’appello 61,4 GW da realizzare nei prossimi 6 anni, pari a 10,2 GW l’anno e serve accelerare: nel 2023 abbiamo, infatti, installato in Italia circa 6 GW di nuovi impianti a fonti rinnovabili, mentre nel 2024 saranno tra i 7 e gli 8 GW. Sul dato relativo al 2025 e agli anni successivi rischiano di incidere negativamente il decreto agricoltura, quello ambiente e il dm sulle aree idonee. Numeri che Legambiente ha riassunto nel suo ultimo report “Regioni e aree idonee. Le fonti rinnovabili nelle Regioni italiane, la sfida verso il raggiungimento degli obiettivi al 2030 attraverso le aree idonee” presentato insieme a un pacchetto di 12 proposte in occasione del XVII Forum Qualenergia organizzato da Legambiente, Nuova Ecologia e Kyoto Club.
“A Governo e Regioni – aggiunge Ciafani – vogliamo ricordare che per raggiungere gli obiettivi al 2030 previsti dal decreto aree idonee, ma anche per contrastare la crisi climatica e per ridurre la pesante bolletta energetica, il nostro Paese deve accelerare il passo con leggi che facilitino la diffusione di impianti a fonti pulite, invece che penalizzarli o escluderli come sta facendo la Sardegna. E che rischiano di copiare anche altre Regioni. Il paesaggio non è qualcosa di immutabile, anzi nel corso della storia è continuamente cambiato. Gli impianti vanno fatti subito e bene, bisogna far in modo che sia ben integrati nei diversi territori o ambiti urbani, per questo è fondamentale anche il confronto con le comunità e i territori. Restiamo convinti che l’identificazione delle aree idonee, non può limitarsi alle sole aree prive di vincoli, ma deve estendersi anche a quelle dove è possibile e più facile trarre beneficio, locale, regionale e nazionale, dalla presenza degli impianti”.