I leader di Turchia e Russia, due dei paesi impegnati nella guerra di prossimità in atto nel paese mediorientale, si sono sentiti al telefono
I leader di due dei paesi impegnati nella guerra di prossimità in atto in Siria si sono sentiti al telefono. Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha affermato che “il regime siriano deve impegnarsi in un processo per una soluzione politica“, attraverso la diplomazia, per arrivare a una “soluzione giusta e permanente” della crisi, durante […]
I leader di due dei paesi impegnati nella guerra di prossimità in atto in Siria si sono sentiti al telefono. Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha affermato che “il regime siriano deve impegnarsi in un processo per una soluzione politica“, attraverso la diplomazia, per arrivare a una “soluzione giusta e permanente” della crisi, durante una telefonata con l’omologo russo Vladimir Putin. Il leader turco ha anche detto che Ankara continuerà a combattere contro il gruppo curdo armato Pkk, ritenuto terrorista, affinché non tragga vantaggio dall’attuale contesto, dove avanzano le forze che si oppongono a Damasco. “La Siria non dovrebbe essere fonte di instabilità”, ha aggiunto Erdogan, sottolineando l’importanza dell’integrità territoriale del Paese e spiegando che Ankara “sta facendo del suo meglio per assicurare la pace in Siria”.
Nel colloquio Putin ha sostenuto che occorre “fermare rapidamente l’aggressione terroristica contro lo Stato siriano da parte di gruppi radicali” e “fornire pieno sostegno agli sforzi delle autorità legittime per ripristinare la stabilità e l’ordine costituzionale in tutto il Paese, in particolare utilizzando le opportunità esistenti di Ankara nella regione”. I due leader, aggiunge il Cremlino, “si sono espressi a favore del rafforzamento dell’interazione sia in formato bilaterale che nel quadro del processo di Astana”, impegnandosi a “un ulteriore stretto coordinamento tra Russia, Turchia e Iran per normalizzare la situazione in Siria”.
Intanto sul terreno si continua a combattere. Damasco ha perso il controllo dell’aeroporto internazionale di Aleppo, ora in mano agli insorti filo-turchi. Non era mai accaduto nella storia della Siria contemporanea, iniziata nel 1946. I ribelli controllano anche quattro scali militari attorno alla metropoli siriana del nord: Nayrab, Kuweiris, Menagh e Abu Dhuhur. Queste strutture erano risorse strategiche militari di prima importanza sia per il governo di Damasco che per i suoi due alleati: la Russia e l’Iran. Teheran in particolare usava gli aeroporti di Aleppo per rifornire periodicamente le linee degli Hezbollah libanesi tramite il corridoio di Homs nella Siria centrale e confinante con la valle della Bekaa.
Migliaia di civili curdi sono arrivati oggi nella Siria orientale dopo esser stati costretti a lasciare la zona a nord di Aleppo. Per il momento le forze filo-turche hanno lasciato libero un corridoio a sud-est della città per far defluire il flusso di civili in fuga. Questo corridoio collega la zona di Aleppo con la regione di Tabqa e di Raqqa, a est del fiume Eufrate, sotto controllo delle forze curdo-siriane, espressione dell’ala locale del Pkk.
Nelle ultime ore si è riacceso anche il fronte orientale, dove sono presenti forze filo-Usa e forze filo-iraniane a sostegno di rispettivi clienti armati locali. Secondo fonti sul terreno, le forze filo-Usa guidate dal Pkk curdo e da tribù arabe cooptate dagli americani stanno tentando di conquistare sette località a est del fiume Eufrate sotto controllo delle milizie filo-iraniane e di altri clan tribali vicini invece all’Iran e l’aviazione Usa ha bombardato posizioni di milizie filo-iraniane nella valle dell’Eufrate. Teheran, da parte sua, è pronta a valutare l’invio di truppe in Siria se il governo di Damasco richiederà formalmente aiuto per far fronte all’offensiva dei ribelli, ha detto il ministro degli Esteri, Seyed Abbas Araghchi.