L’insistenza di Carlos Tavares nella spinta ortodossa verso l’elettrico, arrivando a osteggiare le posizioni di Acea, sembra essere stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso nei rapporti con gli azionisti di Stellantis. Almeno a leggere tra le righe delle parole del ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso. Raccontando del colloquio telefonico avuto lunedì con il presidente del gruppo automobilistico, John Elkann, a capo del “comitato di crisi” che guiderà l’azienda nei prossimi mesi, Urso ha rivelato: “Adesso anche Stellantis condivide la necessità di rivedere il percorso di decarbonizzazione”. Una possibile spiegazione dello strappo finale tra l’ex amministratore delegato e gli azionisti, divergenti su molti temi cruciali per superare le difficoltà del momento.
La posizione di Tavares sul superamento del motore endotermico è nota, l’ha ripetuta fino allo sfinimento negli scorsi mesi nonostante le difficoltà di mercato delle auto elettriche. A metà settembre, quando Luca de Meo, amministratore delegato della Renault e presidente dell’associazione europea dei costruttori, aveva sollecitato un rinvio della normativa Ue sulle emissioni che scatterà nel 2025, l’ex Ceo di Stellantis era stato categorico: “Tutti conoscono le regole da molto tempo, tutti hanno avuto il tempo di prepararsi e quindi ora si corre”.
Un dogma ribadito anche durante l’audizione in Parlamento: “Noi non chiediamo il rinvio della scadenza del 2025, siamo pronti. Abbiamo bisogno della stabilità dei regolamenti perché dobbiamo pianificare in anticipo. Ci serve un ambiente stabile e durevole. Abbiamo fatto i compiti a casa, abbiamo lavorato molto duramente per fare in modo che le vetture e i componenti che usiamo siano in linea con i requisiti fissati”, aveva detto davanti alla commissione Attività Produttive e Industria prima di tornare a chiedere una valanga di incentivi allo Stato e definire “livorosi” i deputati e senatori intervenuti. Prima e dopo, nulla di concreto di fronte ai numeri catastrofici della produzione in Italia, con tutti gli stabilimenti al minimo da mesi e la cassa integrazione galoppante.
Il suo divorzio dall’azienda ha ringalluzzito Urso, che da giugno 2023 – in un tira e molla a tratti surreale – dice e ridice di essere vicino alla chiusura di un accordo con Stellantis per assicurare un futuro alle fabbriche italiane e rilanciare la produzione fino a 1 milione di vetture all’anno. In un anno e qualche settimana di incontri, il tavolo per l’automotive non ha prodotto nulla, anzi la situazione delle plant italiane è precipitata, ma il ministro è ora convinto che tiri aria nuova: “Nel colloquio con John Elkann sono emerse le condizioni per essere fiduciosi di poter condividere un piano Italia che vede il nostro Paese al centro dello sviluppo dell’auto europea”, ha assicurato. Il faccia a faccia al Mimit è programmato per il 17 dicembre. Su mandato di Elkann – a quanto si apprende – potrebbe essere presente Jean-Philippe Imparato, fresco di nomina a responsabile Europa di Stellantis.
L’auspicio del governo è che, tolto di mezzo Tavares, la centralità ritrovata sotto il profilo operativo di Elkann possa sbloccare l’impasse. Si punta, in particolare, all’assegnazione di una piattaforma Small (la catena per la produzione delle utilitarie) alla fabbrica di Pomigliano d’Arco dove la Pandina, auto più venduta in Italia, è confermata fino al 2029 ma vedrà i suoi volumi scendere per la competizione della Grande Panda assegnata alla Serbia. Quella del governo Meloni è attualmente solo una speranza, coltivata dalle voci che si rincorrono in questi giorni. Una nuova illusione o segnali di fumo reali? La priorità del comitato direttivo ad interim resta in ogni caso il mercato Usa, il più profittevole ma lasciato da Tavares con numeri drammatici. L’esecutivo italiano – al di là dei toni insultati di Matteo Salvini – pende dalle labbra di Elkann, dopo i primi segnali di apertura – a parole – in questi giorni convulsi.