È il giorno della sentenza per Filippo Turetta accusato di aver ucciso, con 75 coltellate, l’ex fidanzata Giulia Cecchettin. A poco più da un anno dal femminicidio dell’11 novembre 2023, la corte d’Assise di Venezia dovrà non tanto stabilire la responsabilità del reo confesso quanto la durata del carcere. Dovrà decidere se infliggere l’ergastolo – e se dunque sussistono le aggravanti della premeditazione, della crudeltà e dello stalking – oppure decretare che un ventiduenne non merita il “fine pena mai”, anche per la giovane età e l’assenza di precedenti.

In aula ci sono l’imputato e il papà della vittima che, per la seconda volta, siedono a pochi passi di distanza. In mattinata c’è stato un saluto con stretta di mano tra Gino Cecchettin e Giovanni Caruso, legale di Turetta, con quest’ultimo che ha detto al padre della 22enne: “Il mio lavoro non è facile”. I giudici sono entrati in camera di consiglio poco prima delle 10 annunciando che la sentenza non sarà emessa prima delle 15. Con il passare delle ore si è poi appreso che il momento del verdetto potrebbe slittare di qualche ora, con la corte d’Assise che pronuncerà la propria decisione almeno verso le 16.

Per la difesa, rappresentata dagli avvocati Giovanni Caruso e Monica Cornaviera, l’ergastolo è “inumano”, per l’accusa invece è l’unica condanna possibile per chi ha architettato di uccidere e nascondere la vittima, e poi di fuggire. Per la pubblica accusa, il delitto è “l’ultimo atto del controllo” esercitato sull’ex fidanzata, laureanda in Ingegneria biomedica. L’azione dell’imputato è “manipolatoria”: incalza la compagna di studi, gioca sui sensi di colpa, invia decine e decine di messaggi al giorno alla coetanea, minaccia il suicidio come forma di “ricatto”.

Nel rapporto altalenante – iniziato nel gennaio 2022 e chiuso a fine luglio 2023 – l’interesse diventa ossessione. Cecchettin “già ad ottobre del 2022 dichiara di avere paura, lo ribadisce a ottobre 2023 in un messaggio: ‘mi spaventi, tu ti comporti come uno psicopatico, inizi a farmi paura’”, ha spiegato l’accusa. Turetta che “aveva tutte le possibilità e gli strumenti culturali per scegliere” decide di uccidere, come ha ricostruito lui stesso tra diversi “non so” durante le sei ore di interrogatorio in aula.

Almeno quattro giorni prima dell’omicidio si appunta ciò di cui ha bisogno: coltelli, nastro per legarla e impedirle di urlare, cartine stradali per la fuga, contanti per evitare di essere rintracciato, sacchi neri. Di fronte all’ennesimo rifiuto di tornare insieme, entra in azione. A Vigonovo (Padova), in un parcheggio a 150 metri da casa Cecchettin, impugna un coltello e inizia a colpire. Costringe l’ex fidanzata a salire in auto dove infierisce ancora, e quando nella zona industriale di Fossò (Venezia) scappa, la raggiunge e la finisce con un altro coltello.

La carica in auto e la abbandona a cento chilometri da casa, vicino al lago di Barcis. La copre per celare l’orrore delle coltellate, di cui 25 da difesa a testimoniare che Giulia ha lottato a lungo. La fuga in auto finisce una settimana dopo in Germania. Ad attenderlo in Italia c’è il carcere di Verona dove confessa il primo dicembre 2023, poi c’è il processo durato poco più di due mesi e oggi – sul femminicidio che ha rimesso al centro la lotta al patriarcato – arriva la prima sentenza.

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