Cinema

Francesco Guccini e i film più amati. Al Festival di Porretta l’ode del maestrone per L’attimo fuggente: “Mi colpì la bellezza del carpe diem”

di Davide Turrini
Francesco Guccini e i film più amati. Al Festival di Porretta l’ode del maestrone per L’attimo fuggente: “Mi colpì la bellezza del carpe diem”

“Oh capitano, mio capitano”. Chi l’avrebbe mai detto che uno dei film preferiti di Francesco Guccini fosse L’attimo Fuggente? Il film diretto da Peter Weir nel 1989, ribellistico e commovente cult per diverse generazioni di spettatori e cinefili, è uno dei cinque titoli scelti dal maestrone di Pavana per l’evento speciale organizzato dagli amici, e vicini di casa, del Festival del Cinema di Porretta Terme (7-15 dicembre 2024) in suo onore.

Così sabato 7 dicembre all’Hotel Kursaal di Porretta salirà in cattedra il ricordo gucciniano sotto forma di carta bianca, modello rassegna da cineteca. Una top five da accorto e attento cinefilo, quella di Guccini, che comprende, oltre a L’attimo fuggente: L’albero degli zoccoli di Ermanno Olmi (1978); Casablanca di Michael Curtiz (1942); I sette samurai di Akira Kurosawa (1954) e I magnifici sette di John Sturges (1960). “Non mi chiami cinefilo, però”, esordisce Guccini chiacchierando delle sue visioni più gradite con FQMagazine. “Mi hanno chiesto i cinque titoli che mi hanno colpito e che ho amato e mi è venuto spontaneo iniziare da L’attimo fuggente. Del resto ho fatto l’insegnante anch’io”.

Carpe diem, insomma…
Guardi, c’è questa poesia di mezzo che è un capolavoro, l’Ode del carpe diem di Orazio. Una poesia dalla bellezza straordinaria che mi colpì allora e ancora oggi.

Nel film di Weir questo verso suscita negli studenti del collegio di Welton una forma di ribellione alle regole rigidissime sociali ed educative…
Sì, è la valenza del carpe diem. E non c’è lingua moderna che possa tradurre compiutamente dal latino questa locuzione

Venne tradotta con “cogli l’attimo”…
Non è proprio “cogli l’attimo”, ma ha un significato molto più vasto. Carpe diem non si traduce. È tutto un mondo che non abbiamo più prima di tutto perché non possediamo più il mondo di Orazio, non conosciamo fino in fondo la mentalità di quell’uomo e di quel periodo. Diciamo che è intraducibile e inattuabile. Lì nel film viene presa con “cogli l’attimo”. Io forse posso allargarmi un pochino sostenendo che è quasi un concetto zen: un vivere nel presente dove un momento dopo è già futuro e un momento prima è già passato.

L’attimo fuggente lo vide al cinema?
No, lo vidi in televisione

Nel finale del film, e anche in diverse sequenze in sottofinale, nessuno è mai riuscito a rimanere con il fazzoletto asciutto…
C’è quel momento eccezionale di pausa nell’improvviso congedo rivolto al professore Keating/Robin Williams tra il primo alunno che si alza sul banco e gli altri che a loro volta si alzano in piedi sui banchi. Fa venire i brividi. Pensi, ho insegnato per vent’anni anch’io. Recentemente, dal 2021, un gruppo di miei allievi americani del Dickinson College della Pennsylvania si sono tassati e hanno creato un fondo per concedere una borsa di studio e mandare ogni anno a Bologna uno studente a mio nome. Non mi paragono a Keating ma spero di aver fatto qualcosa di buono anch’io.

Cambiamo prospettiva: da studente le è mai capitato di incontrare un Keating?
Alle magistrali incontrai un insegnante di storia e latino che ricordo con affetto, tal Franco Violi; mentre con identico affetto all’università ne ricordo un altro, il professor Ezio Raimondi di Italianistica che poi conobbi non dico da diventarne amico, anche se lui venne a diversi miei concerti.

Gli anni ’60-’70 sono stati un periodo d’oro per il cinema in sala: che ricordo ha?
Allora non c’era la tv e si andava parecchio al cinema, almeno tre volte alla settimana: da soli, con gli amici, con la morosa. Tra l’altro adesso ci sono le multisale dove si entra ad orari fissi, ma allora si arrivava spesso a film iniziato, talvolta a fine primo tempo. Ricordo che si seguiva il secondo tempo, si rimaneva in sala per la proiezione successiva e dopo si guardava il primo tempo fino al punto in cui eravamo entrati. Oggi il meccanismo del “siamo arrivati qui” non lo capiscono più in tanti.

Un altro mondo…
All’epoca fumavo e in sala si fumava, anzi: fumavano in tanti. Le volute di fumo si alzavano e contrastavano con i fasci della proiezione. A Bologna la gente mangiava talmente tanti “brustulli” – i semi di zucca salati in superficie ndr – che ce n’erano montagne per terra da dover alzare il piedi per passare e mettersi a sedere. I cinema erano anche nei paesi piccolissimi. Come a Pavana. La domenica si guardava questa meraviglia di quello che c’era sullo schermo. Si guardava tutto quello che c’era senza fare distinzioni di genere. Noi ragazzini ovviamente guardavamo molti western. Più che guardare un film si andava al cinema.

Dopo L’Attimo fuggente, lei ha citato L’albero degli zoccoli…
Lo vidi in sala con i sottotitoli perché era parlato in bergamasco. All’epoca c’era, non dico una concorrenza, ma questo film veniva spesso accostato a Novecento di Bertolucci per quel che riguarda la rappresentazione della cultura popolare. Al di là del valore cinematografico dell’uno e dell’altro, L’albero degli zoccoli è molto vicino alla vera cultura contadina, Olmi era davvero dentro a quel mondo lì. In Novecento invece il mondo contadino viene raccontato con gli occhi di un borghese che se ne vuole impadronire.

Passiamo a Casablanca…
Un classico. Bellissimo. In mezzo alla seconda guerra mondiale e alla Resistenza ai nazisti c’è questa figura splendida di Humprey Bogart e questa canzone indimenticabile, Provaci ancora Sam (Guccini accenna un verso in lingua originale ndr). Poi ci sono due film con un forte legame l’uno con l’altro: I magnifici sette è il rifacimento western di Kurosawa.

Avrò rivisto I magnifici sette almeno venti volte…
“Io seimila (ride ndr)”.

Che ricordo ha dei Sette samurai?
Allora frequentavo i cineforum. Oggi mi sembra non esistano più. Parlo dei cineforum dove si proiettava La Corazzata Potemkin, come racconta mirabilmente Paolo Villaggio in Fantozzi. Capitò anche a me e al di là della feroce ironia di Villaggio è un grande film. Dell’opera di Kurosawa ricordo un’impressione che ebbi da allora: si prestava ad essere ispiratore di un buon western come poi avvenne.

Da quanto è che non va più al cinema?
Mesi. Devo fare quattro chilometri per andarci e con la vista faccio fatica. Mi accontento della tv.

Ci tornerà al Festival di Porretta dopo il suo incontro con il pubblico?
Non lo so ancora. Ma sa cosa posso dirle? Che c’è una cosa che si evidenzia parlando con mia moglie, che è più giovane di me: degli attori e attrici del passato che conosco alla perfezione lei non ne conosce uno, mentre io ne non conosco uno di quelli di adesso che cita lei. Beh, almeno ci compensiamo.

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