Il destino del governo francese verrà deciso con le borse europee chiuse. La vera reazione si vedrà giovedì mattina. Ma, come sempre, in questi giorni gli investitori si sono posizionati in vista dello scenario più probabile, ovvero la sfiducia e una conseguente fase di caos politico, più o meno protratta e più o meno intensa. […]
Il destino del governo francese verrà deciso con le borse europee chiuse. La vera reazione si vedrà giovedì mattina. Ma, come sempre, in questi giorni gli investitori si sono posizionati in vista dello scenario più probabile, ovvero la sfiducia e una conseguente fase di caos politico, più o meno protratta e più o meno intensa. Per questo, le ore prima del voto di sfiducia sono state caratterizzate da una relativa calma. Il rendimento dei titoli di Stato francesi continua ad oscillare intorno al 2,9%, alla pari di quelli greci e ben al di sopra i bond spagnoli (ma sotto a quelli italiani).
Poco mosso, a 84 punti, anche lo spread (differenziale di rendimento con i titoli tedeschi). Si tratta comunque del divario più ampio dal 2012. La borsa di Parigi è in lieve rialzo, inclusi i titoli finanziari. “Gran parte del rischio è equamente valutato nei prezzi“, ha detto a Bloomberg Guy Miller , analista di Zurich Insurance. “Finché non supereremo questo periodo, che potrebbe estendersi fino all’inizio dell’anno prossimo, i mercati rimarranno molto nervosi e il rischio è che gli spread aumentino anziché diminuire”.
Alcuni investitori hanno scommesso che il differenziale rispetto ai bund potrebbe raggiungere i 100 punti in caso di caduta del governo. Se dovesse accadere, e se i rendimenti restassero a lungo su questi livelli, la Francia, rinnovando via via i titoli che giungono a scadenza, arriverebbe in 7-8 anni a spendere 30 miliardi di euro in più all’anno in interessi sul debito.
Premesso che nessuno prevede problemi di solvibilità da parte della Francia, è difficile capire cosa potrebbero fare la Banca centrale europea e Bruxelles in caso di un peggioramento della crisi. Germania e Italia sono alle prese con faticose correzioni dei deficit per riportarli al 3% ovvero entro i limiti europei. Difficilmente accetterebbero un intervento a sostegno di un paese che ha un deficit doppio e che punta a riportarlo, nella migliore delle ipotesi, al 5%. Peraltro, in 25 anni di disciplina fiscale imposta dall’appartenenza all’euro, Parigi non ha quasi mai rispettato questi paletti.
La banca centrale europea, guidata dalla francese Christine Lagarde, potrebbe forse intervenire a sostegno dei bond di Parigi con il suo programma Tpi (Transmission protection instrument). In determinate circostanze e con certe condizioni la Bce può cioè effettuare acquisti sul mercato secondario di titoli “emessi in giurisdizioni che presentano un deterioramento delle condizioni di finanziamento non giustificato dai fondamentali specifici del Paese. La portata degli acquisti, non soggetti a restrizioni ex-ante, dipende dalla gravità dei rischi per la trasmissione della politica monetaria”.
La Francia non ricade esattamente in questa condizione e la Bce potrebbe subordinare il suo aiuto all’accettazione da parte del parlamento francese di un bilancio conforme al percorso di aggiustamento fiscale concordato. Una vera e propria onta per la seconda economia della zona euro. Per il paese che si dice essere il cocchiere della “carrozza Europa” (nella stessa metafora il cavallo che traina e fatica è la Germania). Inoltre, se la Francia varasse un piano di risanamento di questo tipo, probabilmente non ci sarebbe alcuna crisi sui mercati, quindi l’intervento della Bce non avrebbe luogo. Una situazione paradossale ma così è.
Le regole possono essere ammorbidite o forzate, se c’è la volontà politica di farlo. E, come detto, è difficile che altri paesi alle prese con dolorose correzioni dei conti siano così propensi ad allungare una mano ad un paese a cui sinora è stato concesso un ampio margine di manovra, di cui ha ampiamente approfittato.