Il giro sull’ottovolante di Emmanuel Macron che, meno di sei mesi fa, ha deciso di sciogliere all’improvviso l’Assemblea Nazionale, non è ancora finito. Se solo a settembre scorso pensava che, affidando l’incarico all’euro-istituzionale Michel Barnier, si sarebbe garantito mesi con una parvenza di stabilità, si è dovuto ricredere in fretta. Il Parlamento francese ha approvato la mozione di censura nei confronti del primo ministro e si è arrivati alla sfiducia dell’esecutivo che diventa così il più breve dal 1958. Cosa succederà a quel punto? Si apre per la Francia l’ennesima fase di incertezza e instabilità: dopo il ritorno improvviso alle urne di giugno, la vittoria a sorpresa della sinsitra di Jean-Luc Mélenchon, la pausa imposta per le Olimpiadi, la decisione di affidare di imperio un incarico a un nome senza maggioranza, cosa devono aspettarsi ancora i francesi? Se ai terremoti politici ormai si erano abituati, questa volta rischiano di aggiungersi anche quelli economici: serve il via libera alla legge di Bilancio entro la fine dell’anno, in una situazione di già grossa difficoltà, ma chi potrà avere i numeri per portarla avanti? Se a Emmanuel Macron parlate di “dimissioni”, lui risponde che è “fantapolitica”. Del resto, per l’Eliseo, è iniziata da tempo l’epoca delle prime volte e qualcosa, anche di impensabile, il presidente della Repubblica dovrà studiare per uscire dall’impasse.
Il voto di sfiducia e i numeri dell’Assemblea nazionale – Erano due i testi di “mozione di censura” presentati per far cadere il governo: uno porta la firma dell’alleanza di sinistra de le Nouveau Front Populaire e uno del Rassemblement National di Marine Le Pen. Per passare serviva la maggioranza di 289 deputati: le due forze insieme arrivano a 316 deputati (rispettivamente 192 e 124), a cui si aggiungono anche gli esponenti dell’estrema destra di Eric Ciotti (16). Alla fine la mozione presentata dalla sinistra ottiene 331 voti. Si è arrivati allo strappo perché l’esecutivo di minoranza ha deciso di far passare la legge sul budget per il welfare bypassando il voto della Camera bassa: Barnier ha infatti applicato l’articolo 49.3 (lo stesso usato per far passare l’aumento dell’età pensionabile) e ha evitato di passare dalla consultazione dei deputati. Lo ha fatto perché, fino all’ultimo, ha puntato su un ripensamento di Le Pen e i suoi, che avevano garantito un appoggio esterno, salvo poi chiedere modifiche al testo che non sono state concesse. Nessuna mediazione è stata possibile e, come annunciato, si è arrivati alla rottura definitiva.
Il nuovo governo e il nodo legge di Bilancio – La situazione per Macron si fa sempre più ingarbugliata. Barnier può andare avanti come governo dimissionario, ma per far approvare la legge di Bilancio entro la fine dell’anno servirà applicare una legge speciale. Una delle strada è quella di fare riferimento a una legge (art.45 della legge organica relativa alle finannze) che permette di rimandare il voto al 2025 e nel frattempo approvare un budget minimo. Le Pen e i suoi hanno detto che, nel caso, non si opporrebbero. Se questo non succede, rimane solo un’altra strada: appellarsi all’art.16 della Costituzione che estende i poteri del presidente della Repubblica: questa sarebbe l’opzione più estrema, perché sospende il normale funzionamento del sistema democratico e nessuno sa cosa potrebbe provocare. In alternativa, Macron può scegliere in fretta un nuovo o una nuova prima ministra e formare un nuovo governo: questo scenario sarebbe il più auspicabile, in una situazione normale. Ma i rapporti politici sono a tal punto logorati che una mediazione sembra davvero impossibile. Il presidente della Repubblica ha rifiutato fin dall’inizio di dare l’incarico al Nuovo Fronte Popolare, nonostante la vittoria alle elezioni, per la presenza del partito de la France Insoumise. Guardando i numeri dell’Assemblea nazionale, lo schieramento più stabile sarebbe quello composto da ecologisti, socialisti e macronisti (287 deputati in totale). Ma questo vorrebbe dire rompere l’alleanza a sinistra e spingere i partiti, prima alleati di Mélenchon, a fare accordi con il partito di Macron, accusato di tradimenti e crisi politiche. Difficile, al momento, da immaginare. In alternativa, Macron potrebbe lavorare a un altro esecutivo di minoranza con i Repubblicani e, di nuovo, l’appoggio esterno dei lepenisti. “Smettiamola con la strategia della paura”, ha scritto su X il presidente del Rassemblement National Jordan Bardella, “non sarà il caos per la caduta di un governo del quale nessuno sa citare i nomi di più di tre ministri!”. Dopo la probabile censura del governo, ha dichiarato, esiste “una via, un percorso possibile“. “Ma bisogna mettere tutti i gruppi attorno ad un tavolo e rispettare le opinioni di ciascuno”. Quale, resta tutto da vedere.
La sorte di Macron – Partendo dalla premessa che convocare elezioni legislative anticipate e sciogliere l’Assemblea nazionale non è possibile fino al prossimo giugno (deve passare almeno un anno), l’unica strada per ridare la parola agli elettori sarebbe quella delle dimissioni di Emmanuel Macron. Una soluzione che il capo dello Stato ha fatto già sapere di non prendere neanche lontanamente in considerazione. Del resto, fare un passo indietro e ammettere la sconfitta, non rientra sicuramente tra le sue doti principali. E questo nonostante la grossa crisi di popolarità: secondo le ultime rilevazioni dell’istituto Odoxa, riportate da Public Senat, il capo dell’Eliseo a fine novembre ha raggiunto un nuovo picco negativo con il 76% dei francesi che “non lo ritiene un buon capo di Stato”. E non solo, un sondaggio Ipsos per le Monde pubblicato il 3 dicembre, dice che il 52 per cento degli intervistati ritiene necessarie le sue dimissioni. Macron osserva dall’Arabia Saudita dove si occupa di pace in Medioriente, intanto la Francia entra nell’ennesima fase di subbuglio. Senza che si veda una chiara via d’uscita.