Lavoro & Precari

Impennata delle assenze per malattia in tutta Europa (tranne l’Italia). Pesano età, long Covid e salute mentale

L’Europa non sta bene. Non solo metaforicamente ma, pare, anche letteralmente. Diversi paesi registrano un’esplosione di assenze dal lavoro per malattia. I casi più eclatanti sono quelli di Norvegia e Finlandia, dove i giorni di assenza superano ormai i 25 all’anno. Ma l’epidemia è diffusa anche a Gran Bretagna, Germania, Francia, Portogallo. Contrariamente da quel […]

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L’Europa non sta bene. Non solo metaforicamente ma, pare, anche letteralmente. Diversi paesi registrano un’esplosione di assenze dal lavoro per malattia. I casi più eclatanti sono quelli di Norvegia e Finlandia, dove i giorni di assenza superano ormai i 25 all’anno. Ma l’epidemia è diffusa anche a Gran Bretagna, Germania, Francia, Portogallo.

Contrariamente da quel che favoleggiano certe caricature mediatiche, i lavoratori italiani, oltre ad essere tra quelli che passano più ore in fabbrica e in ufficio, sono anche nelle ultimissime posizioni di questa classifica, con una media di soli 8 giorni di malattia all’anno. Gli unici paesi dove i dipendenti si assentano di meno sono Ungheria e Grecia (con un incredibile 1,4 giorni). In Portogallo, Spagna e Francia i giorni di malattia sono quasi il triplo rispetto all’Italia, in Germania più del doppio, mentre la media Ocse è di 14 giorni di assenza.

Non si sa se si deve gioire per la buona salute della nostra forza lavoro o preoccuparsi perché sono forse troppe le ragioni che spingono anche chi è acciaccato a recarsi in fabbrica. Del resto, dove i contratti precari hanno un’incidenza maggiore, il timore di perdere il posto è alta, sino al punto di sacrificare anche la salute.

A fare il punto sul fenomeno è un’indagine dell’agenzia Bloomberg che avanza anche delle possibili spiegazioni. La popolazione europea invecchia e questo fa sì che l’incidenza delle patologie aumenti (ma l’Italia è uno dei paesi con l’età media più alta del mondo e, abbiamo visto, con i lavoratori tra i più presenzialisti). D’altro canto le giovani generazioni hanno un atteggiamento verso il lavoro diverso, molto più disincantato. Tutte le indagini mostrano come l’attenzione ad un salubre equilibrio tra vita e lavoro sia la priorità, davanti al livello retributivo e alle prospettive di carriera.

E poi c’è stato il Covid. Da un lato la pandemia ha portato molte persone a sperimentare nuovi modi di rapportarsi al lavoro e a scoprire e a rapportarsi alla carriera con un atteggiamento che non è più di assoluta abnegazione. Così, nelle situazioni limite, quando si sta male ma non così tanto da essere impossibilitati a svolgere attività, mentre prima si andava comunque al lavoro, ora si resta a casa più spesso. Il virus ha inoltre provocato uno strascico di patologie di lunga durata che hanno peggiorato il livello medio della salute della popolazione, soprattutto in alcuni paesi. Infine, come testimoniano diverse ricerche, il disagio psicologico è pericolosamente in aumento.

In Gran Bretagna, secondo un calcolo di Zurich Insurance, le patologie di lunga durata hanno sottratto 33 miliardi di sterline (42 miliardi di euro) alla produttività del paese. Una cifra che pare destinata a raddoppiare entro il 2030. Inoltre il numero di persone inattive per lunghi periodi è aumentato di 800mila unità. Tanto da spingere il governo di Keir Starmer a mettere a punto piani per cercare di far tornare al lavoro più britannici, stimolare la crescita economica e cercare così di ridurre la spesa per l’assistenza sociale.

In Germania, nel 2023, le imprese hanno perso 77 miliardi di euro a causa delle assenze per malattia, il doppio rispetto al 2010. La causa più frequente sono stati i raffreddamenti (5,1 giorni l’anno), seguiti da problemi alla salute mentali (3,6 giorni) e dai disturbi muscolo-scheletrici, soprattutto mal di schiena (2,8 giorni di assenza). Un aumento dell’incidenza di questi costi è segnalata anche in Francia.

Veniamo al caso limite, quello della Norvegia dove i giorni di malattia sono in forte aumento e sui livelli più elevati da almeno 15 anni. Qui, anche per queste circostanze, il welfare è molto generoso, ma non è una novità, e quindi giustifica solo in parte l’aumento. Nota a margine di un disagio: il Fondo monetario internazionale, che nella sua storia si è immancabilmente distinto per una tragica incapacità di andare oltre due formulette da foglio excel nell’analisi delle situazioni economico e sociali dei paesi che hanno avuto la sfortuna di doversi affidare ai suoi finanziamenti, ha suggerito ad Oslo di essere meno generosa nel trattamento della malattia e del malessere dei lavoratori.

P.s. La Norvegia, 5,2 milioni di abitanti, possiede un fondo sovrano in cui confluiscono i ricavi della vendita degli idrocarburi di cui è ricco il paese. Al momento amministra 1.800 miliardi di euro, che sono a disposizione della popolazione, 346mila euro a testa.