Giustizia & Impunità

Inchiesta Trento, così agiva la “consorteria criminale”: incetta di progetti e intimidazioni a chi non era “conforme al sistema”

La ripetizione di un sostantivo e una sconcertante ipotesi di reato sono i due elementi che colpiscono nell’inchiesta della Procura di Trento che ha scoperchiato un verminaio, provocando quello che solo eufemisticamente si può definire un terremoto giudiziario. È molto di più. È il disvelamento di un sistema, una ragnatela che legava tanti, troppi partiti […]

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La ripetizione di un sostantivo e una sconcertante ipotesi di reato sono i due elementi che colpiscono nell’inchiesta della Procura di Trento che ha scoperchiato un verminaio, provocando quello che solo eufemisticamente si può definire un terremoto giudiziario. È molto di più. È il disvelamento di un sistema, una ragnatela che legava tanti, troppi partiti ed amministrazioni locali. La parola “consorteria” è utilizzata in modo quasi ossessivo nelle contestazioni, che – al di là del significato letterale (“gruppo di persone collegate da interessi politici od economici”) – ha come sinonimi clan, congrega, corporazione, cricca e lobby. Un mondo chiuso, autoreferenziale e tentacolare, un potere capace di condizionare le scelte dei pubblici rappresentanti del popolo. Questo spiega la natura del reato di associazione a delinquere con l’utilizzo del metodo mafioso, che sembrerebbe impensabile a queste latitudini, con un imprenditore austriaco (il magnate Renè Benko) e un commercialista bolzanino (Heinz Peter Hager), pesantemente coinvolti.

È da qui che bisogna partire per comprendere la portata dell’inchiesta durata quattro anni e condotta dalla Procura distrettuale antimafia di Trento. I reati contestati sono di associazione per delinquere, turbativa d’asta, finanziamento illecito dei partiti, traffico di influenze illecite, truffa, indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato. Ma c’è anche un corollario impressionante di altri reati contro la pubblica amministrazione, tra cui corruzione, induzione indebita, rivelazione di segreti d’ufficio e omissione di atti d’ufficio, nonché violazioni delle norme tributarie legate all’emissione di fatture per operazioni inesistenti. Complessivamente le persone per le quali sono stati chiesti gli arresti domiciliari sono 9, quelle indagate 77, tra cui 11 amministratori pubblici, 20 dirigenti e funzionari di enti locali e società partecipate, membri delle forze dell’ordine (anche un generale dei carabinieri), professionisti e imprenditori. L’inchiesta è stata coordinata dal procuratore Sandro Raimondi, dai sostituti Davide Ognibene e Alessandro Clemente. La firma dei provvedimenti è del giudice per le indagini preliminari Enrico Borrelli.

“UNA CONSORTERIA CRIMINOSA”. Il gip non usa mezze parole: “Gli elementi sono univoci e concordanti in ordine alla emersione di una consorteria criminosa volta alla realizzazione di innumerevoli operazioni costituenti reati contro la pubblica amministrazione, attuate anche mediante la lesione di ulteriori beni giuridici (estorsioni, reati tributari ed edilizi, etc)”. Scrive di “continuità e professionalità delle condotte”, di una “programmazione e realizzazione, con carattere permanente (senza limiti temporali) di acquisizione di aree”. Cita come esempi i progetti Waltrerpark, Gries Village, area ex Cattori, Hotel Palace ed ex Hotel Arco. “Le attività conseguenti (ristrutturazioni, edificazioni ex novo, riqualificazioni) erano programmate in aperto spregio della disciplina urbanistica. Persino la presentazione delle pratiche avveniva in modo anomalo, senza passaggio dai canali istituzionali. Ogni volta che un sopralluogo (ad esempio volto al rilascio di certificato di agibilità) era compiuto da funzionari onesti ed estranei ai disegni della compagine criminale, i soggetti apicali si adoperavano per rilasciare egualmente le richieste certificazioni, superando o ammonendo i funzionari”. Non c’era casualità od occasionalità nella consorteria. Anzi, si basava su “stabilità dei vincoli, numero di rilievo delle operazioni, una pluralità di reati-fine”. Non si trattava di attuare un affare singolo, “ma di dare attuazione ad un programma pianificato, caratterizzato da fasi organizzative ed attuative, attraverso una pluralità di soggetti specializzati”. Una “efficiente rete organizzata con lo scopo del profitto, patrimoniale e non patrimoniale”. Una rete convinta della propria immunità, che non prendeva neppure precauzioni per camuffare discorsi, nomi e circostanze.

IL METODO “MAFIOSO”. Perché è stato contestato l’utilizzo del metodo mafioso? Scrive il gip: “La consorteria è sorta e si è sviluppata in un contesto estraneo, lontano dalle mafie tradizionali e non vi sono collegamenti con strutture di criminalità organizzata, collocate altrove nel territorio nazionale”. Infatti, “si tratta di un programma con iniziative locali che hanno trovato agevole ingresso nelle strutture amministrative pubbliche senza significative resistenze”. L’aspetto più grave, che motiva l’aggravante “mafiosa”: “La consorteria si è avvalsa di una forza di intimidazione tale da integrare l’aggravante, attraverso lo stato di soggezione della vittima e il timore di gravi ritorsioni”. Inoltre, “l’intimidazione è stata declinata nelle forme del condizionamento e della sopraffazione, di una aggressiva attività ad excludendum e della prospettazione di capacità punitiva nei confronti di quanti non si fossero conformati al ‘sistema’. La capacità intimidatrice non si arrestava ad uno stadio preliminare e minatorio, ma aveva continue e gravi attuazioni, un carattere esemplare e dissuasivo per tutti i soggetti che venivano coinvolti nelle vicende affaristiche della consorteria”.