Better read than dead. La scritta arancione spicca sullo sfondo nero del manifesto che impugnano i giornalisti del Guardian e dell’Obsever, davanti alla sede a vetri della storica testata britannica a King’s Cross, Londra. Save the Observer è la missione, ovvero salvare il più antico giornale domenicale del mondo, 233 anni dalla prima pubblicazione, che ora dovrebbe essere scisso dal quotidiano The Guardian e venduto alla Tortoise Media, piattaforma nota per i podcast.

Per la prima volta in 50 anni i giornalisti del gruppo mollano la penna e l’edizione del giornale, sia cartaceo che online, sarà striminzita nelle prossime 48 di sciopero, indetto fino al 5 dicembre e sostenuto dal 95% dei lavoratori che fanno capo al sindacato Nuj (National Union of Journalists). La posta in ballo è alta per un giornale che è d’obbligo tra lettori colti e prevalentemente di sinistra ma che è anche un faro dell’ informazione a livello internazionale per gli scoop e le inchieste esplosive che mandano scossoni ai potenti di tutto il mondo.

Il Guardian Media Group ha cominciato a considerare la vendita dell’Observer lo scorso settembre quando è emerso un deficit di 36.5 milioni di sterline (44 milioni di euro) per l’anno 2023-2024. Un’ erosione dei profitti del 2,5% di anno in anno, nell’arco di un quadriennio, con le entrate dalle inserzioni calate del 13% nel 2023 e del 16% rispetto al 2022. Questo anche se lo zoccolo duro dei lettori sta tenendo e le sottoscrizioni al digitale sono salite dell’8%. L’acquisto da parte di Tortoise Media prevede ora un piano di investimenti di 25 milioni di sterline nei prossimi 5 anni, finanziati anche dalla chiusura degli articoli dell’Observer dietro un paywall.

“C’è incertezza ma anche sbigottimento tra noi giornalisti perché le due testate sono parte integrante l’una dell’altra, condividiamo giornalisti e scrivanie, questa è una mossa che ci prende di sorpresa perché secondo noi scorporare il domenicale dal quotidiano è un’operazione mediatica che non ha senso nell’era digitale”, dice Sonia Sodna, editorialista del Guardian e dell’Observer sottolineando che chiunque abbia a cuore il futuro del giornalismo libero non può voler vedere separate le due testate sorelle.

Dal gruppo fanno sapere di avere un piano per minimizzare l’impatto dello sciopero su personale e lettori e che la loro priorità resta quella di garantire che il giornalismo dell’Observer continui ad avere un ruolo chiave nel panorama dei media liberali. Ma non è così che la vede il sindacato Nuj, che senza mezzi termini, ha definito la vendita un “tradimento” da parte della Scott Trust Limited , proprietaria del Guardian Media Group, degli impegni per la sicurezza finanziaria e l’indipendenza editoriale del giornale, che sono il suo baluardo dalla fondazione nel 1821 come Manchester Guardian e poi Guardian, con sede a Londra, nel 1959.

Ole Jacob Sunde, presidente dello Scott Trust, conferma che la proposta di accordo prevede che resteranno co-proprietari dell’Observer e che i nuovi proprietari dovranno rispettare i valori di libertà di stampa e giornalismo liberale che sono la colonna dorsale dell’Observer da quando è stato acquistato nel 1993. Promesse che però non convincono storiche firme delle due pubblicazioni come Carole Cadwalladr, che denuncia la segretezza con cui sono state portate avanti le trattative con Tortoise Media, “senza considerare alternative e nonostante la start up sia priva di ‘business model’ e soprattutto di fondi sufficienti”.

Tortoise è una start up digitale che dal 2018 non ha ancora registrato profitti e al 2022 ha registrato perdite per 16.3 milioni di sterline, si legge nel manifesto postato su X. L’Observer è una parte integrante, e di successo, del Guardian Media Group che ha 10 milioni di views online tutte le settimane e, con una circolazione del cartaceo di 106 mila copie, è una significativa fonte di profitto per il gruppo. Secondo i manifestanti che a king’s Cross danno battaglia all’accordo, la vendita ed il previsto paywall pongono una minaccia esistenziale per l’Observer che sarà ridotto a qualche centinaia di lettori alla settimana.

Tortoise media è stata fondata nel 2018 dall’ex direttore delle News della Bbc, da James Harding già direttore del Times (che proprio di sinistra non è) e da Matthew Barzun ex ambasciatore britannico degli Stati Uniti, dove tra poco avverrà il terremoto Trump, si quello del ‘fake news’.

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