Avete mai pensato di “non ingerire cibo preparato in luoghi dove è obbligatoria una cuffia per capelli“? O di evitare quei prodotti con ingredienti “che un alunno delle elementari non saprebbe pronunciare“? O, ancora, di mangiare tutto il cibo spazzatura di cui avete voglia “purché ve lo prepariate da voi“? A ben riflettere, sono consigli – o prescrizioni, fate voi – tutt’altro che banali. Oltreché divertenti, in un certo senso. Michael Pollan li ha elaborati nel 2009, quando dopo il grande e meritato successo de Il dilemma dell’onnivoro, uscì in libreria col Manuale dell’onnivoro: 83 regole (o “algoritmi studiati per semplificarvi la vita”, per dirla con le sue parole) oggi impreziosite nella nuova edizione – in Italia con Adelphi – dalle illustrazioni di Maria Kalman (230 pagine, 24 euro).

Probabilmente è il libro che vorreste nella vostra libreria, perché è ben curato, piacevole, e le tavole mischiano giocosità e serietà. O magari è il libro che vorreste regalare, perché in effetti è molto indicato per bambini e bambine (o ragazzi e ragazze) che iniziano ad avere un approccio con l’alimentazione più consapevole. Se però conoscete già Pollan, non colmerà mai – per ovvie ragioni – il percorso intellettuale, di scoperta (se per voi si è trattato di una scoperta) e di consapevolezza de Il dilemma dell’onnivoro. La base di partenza, tuttavia, è la medesima: il disordine alimentare americano. Questo era il titolo dell’introduzione del best seller di Pollan. E dalla domanda “cosa mangiare per pranzo?” iniziava il suo viaggio lungo gli Stati Uniti, tra fast food, allevamenti intensivi, industria finta bio, fattorie “ruspanti” fino al cosiddetto “pasto perfetto”, dove ogni singolo ingrediente è prodotto, raccolto, cacciato e cucinato da chi ne beneficerà. Cioè, in questo caso, l’autore.

Il Manuale dell’onnivoro, per forza di cose, è una versione semplificata. Come una specie di prontuario di abitudini alimentari (Pollan suggerisce di seguirne almeno una per sezione), spesso con solide basi scientifiche, più frequentemente attinte da modelli culinari tradizionali più sani. Più sani rispetto a che cosa? Rispetto a quella che Pollan definisce “dieta occidentale”. Vale a dire la dieta seguita da uno statunitense medio. Il limite del libro, se vogliamo, è proprio questo: il punto di vista – legittimamente, per carità – è quello di uno statunitense. E allora ecco che alcune regole e alcune considerazioni, agli occhi di un italiano, potrebbero far sorridere, proprio perché abbastanza ovvie. Come la prescrizione – divertente nella sua semplicità – “non è cibo se arriva dal finestrino dell’auto” (gli statunitensi consumano un quinto dei loro pasti in macchina). O come i frequenti suggerimenti di aumentare il consumo di vegetali (anche qui, il cittadino Usa medio può mangiare carne anche tre volte al giorno). O come l’ossessione per la dieta francese, i cui esponenti non fanno “spuntini, servono porzioni modeste in piatti piccoli, non fanno il bis e mangiano prevalentemente durante lunghi e piacevoli pasti in compagnia di altre persone“. Ciò che muove Pollan nell’elaborazione delle 83 regole è la salute umana, individuale e collettiva. I riferimenti all’ambientalismo e al benessere animale del primo volume spariscono.

Le illustrazioni di Kalman completano il testo e, in certi casi, vanno oltre. Come quando disegna l’interno di un supermercato e lungo gli scaffali presi d’assalto appone etichette con le scritte “ansia”, “rabbia”, “disperazione”, “noia” che rispecchiano lo stato emotivo delle persone e, probabilmente, la molla interiore che le spinge a fare acquisti. O come quando, per dare vita a ciò che Pollan definisce “sostanze commestibili in forma di cibo” (cioè, in pratica, alimenti ultra lavorati, tendenzialmente dannosi per la salute) disegna un capannone grigio, in mezzo al nulla, con pochissimi dettagli, salvo la scritta “Nutritional Industrial Complex – Open”. Se lo leggerete, ricordatevi di mettere in pratica l’ultima regola: infrangete le regole.

Nella foto d’anteprima Micheal Pollan, di Christopher Michel

Mail: a.marzocchi@ilfattoquotidiano.it

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