Per colpa dei giudici, e della querelle sui Paesi sicuri, non si possono espellere gli irregolari, in Albania come in Italia. Lo sostiene il governo e tuttavia, il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi non perde occasione per vantare rimpatri. “Altri 25 cittadini stranieri sono stati espulsi e ricondotti con volo charter nel loro Paese di origine”, […]
Per colpa dei giudici, e della querelle sui Paesi sicuri, non si possono espellere gli irregolari, in Albania come in Italia. Lo sostiene il governo e tuttavia, il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi non perde occasione per vantare rimpatri. “Altri 25 cittadini stranieri sono stati espulsi e ricondotti con volo charter nel loro Paese di origine”, ha scritto anche il 22 novembre su Facebook, accanto all’immancabile foto di un aereo pronto a decollare e, a caratteri cubitali, le parole “espulsi e rimpatriati”. I profili social del Viminale sono ormai una vetrina: “Altri 115 espulsi”, “40 rimpatriati in Tunisia”, “233 rimpatri nell’ultima settimana”, solo per citare alcuni esempi. I rimpatri si fanno, ci dice il Viminale, compresi quelli di cittadini di Paesi che il governo considera sicuri, come i tunisini. Anzi, sono tunisini quasi tutti i rimpatriati passati da un Centro per il rimpatrio (Cpr) in Sicilia, da dove parte più della metà dei rimpatri a livello nazionale.
Allora come stanno le cose? Quanto c’entra lo scontro tra governo e magistratura? Paese sicuro o meno, alle richieste d’asilo respinte corrisponderà comunque un ordine di allontanamento. Anche nelle cosiddette “zone di frontiera”, anche con l’esame accelerato della domanda, previsto non solo per chi arriva da Paesi “sicuri”, ma anche per chi rappresenti una “minaccia per la sicurezza nazionale o l’ordine pubblico”, sia stato “fermato in flagranza mentre tentava di attraversare le frontiere” o abbia reso dichiarazioni “palesemente false o contraddittorie sulla propria identità, cittadinanza o percorso migratorio”, tra l’altro. Casi in cui i pronunciamenti dei tribunali non hanno ostacolato le procedure, né impedito che producessero espulsioni e respingimenti in frontiera. Altrimenti il bollettino dei rimpatri non comparirebbe sui social del Viminale.
Vero è che i rimpatri sono pochi, da sempre. Colpa dei giudici? Nel 2023 dei 158 mila sbarchi, l’Italia ha emesso 28 mila ordini di allontanamento, ma le espulsioni eseguite sono state 4.267 (dati elaborati ActionAid e Università di Bari, 2024). Di queste, solo 2.987 riguardano chi è passato da un Cpr, a dimostrazione che nemmeno i trattenimenti sono risolutivi. Anzi, l’anno scorso i Cpr hanno rimpatriato in media il 44% dei trattenuti, uno dei risultati peggiori di sempre. I rimpatri, è cosa nota, dipendono dagli accordi di riammissione coi Paesi d’origine. Funziona quello con la Tunisia che consente, una volta appurata la provenienza, di procedere al rimpatrio anche senza identificare la persona. Ma non fa miracoli: nel quinquennio 2019-2023 il tasso di rimpatrio dei tunisini è stato del 13% (dati elaborati da ISPI). Inferiore a quello di marocchini (17%), ma anche degli etiopi (16%) che, guarda caso, non provengono da Paese inserito nel famoso elenco dei “sicuri”. Per l’ennesima volta, venire da un Paese extra-Ue che l’Italia designa come sicuro rileva unicamente ai fini della procedura per esaminare la richiesta d’asilo, e coi rimpatri non c’entra un bel niente.
“La scelta di individuare per legge l’elenco dei “Paesi sicuri” (decreto legge 158/2024, ndr) si inquadra nell’ambito del rafforzamento del sistema dei rimpatri”, ha detto Piantedosi. Se i giudici si facessero gli affari loro, è convinto il ministro, trattenimenti in frontiera e procedure d’asilo accelerate farebbero aumentare i rimpatri. Perché la domanda d’asilo di chi arriva da Paese “sicuro” è esaminata più in fretta, con meno garanzie e, a meno di prove contrarie, la competente commissione prefettizia può respingerla dichiarandola semplicemente infondata. Non solo: sono ridotti i termini per il ricorso, che non comporta l’automatica sospensione del provvedimento di rimpatrio. Tanto che il giudice potrebbe decidere della domanda d’asilo, magari accogliendola, a rimpatrio avvenuto. Viste le implicazioni, la Corte di giustizia europea ha imposto al giudice la verifica d’ufficio della legittimità della designazione del Paese come “sicuro”. Per il governo, invece, l’individuazione dei Paesi è una decisione politica che non compete al giudice. Divergendo le posizioni, i tribunali alle prese con la questione hanno chiesto un nuovo parere alla Corte di giustizia, che si esprimerà ad aprile e nell’attesa è tutto sospeso.
L’impasse è colpa delle toghe, dice il governo. Ma qual è l’effetto sui rimpatri? Ad oggi, nel 2024 sono sbarcate 63 mila persone, meno della metà dell’anno scorso. Oltre il 12% sono minori non accompagnati, per cui la provenienza da Paese sicuro non rileva. Dei restanti 55 mila, più della metà viene da quattro Paesi: Bangladesh (20%), Siria (19%), Tunisia (12%) ed Egitto (6%). La Siria non è nell’elenco dei Paesi sicuri, mentre possiamo considerare il Gambia che però rappresenta appena il 2% degli sbarchi. In tutto, dai quattro Paesi “sicuri” sono arrivate 22 mila persone. Secondo l’Ufficio statistico Ue (Eurostat), nei primi nove mesi del 2024 l’Italia ha emanato 20.460 ordini di allontanamento e ne ha eseguiti 3.215. Quanto ai Paesi sicuri, 3.030 ordini e 795 rimpatri riguardano i tunisini, 1.275 ordini e 200 rimpatri gli egiziani, 675 ordini e 40 rimpatri i bangladesi, 475 ordini e 80 rimpatri i gambiani. Contando di fare meglio, nel 2023 il governo ha esteso il trattenimento in frontiera ai richiedenti originari da Paese “sicuro”, così che non possano darsi alla macchia mentre si esaminano le loro domande. L’iniziativa si è arenata nei tribunali, ma trattenere non equivale a rimpatriare. A dirlo sono ancora i dati sui Cpr, dove l’85% dei rimpatriati sono tunisini e un altro 10% riguarda gli egiziani, che una volta trattenuti hanno rispettivamente il 60% e il 52% di probabilità di rientrare nel Paese d’origine.
La differenza, ancora una volta, la fanno gli accordi di riammissione. Indipendentemente dalla querelle sui Paesi sicuri, dall’esame sommario della domanda e dal trattenimento, i dati confermano la difficoltà a rimpatriare chi arriva dal Bangladesh, prima nazionalità con 11.000 sbarchi nel 2024. E i 6.600 tunisini arrivati quest’anno? Vogliamo bocciare tutte le richieste d’asilo di chi viene da un Paese dove persecuzioni, violenze e arresti arbitrari sono in aumento? Bene. Rimane il fatto che solo un ordine di espulsione su quattro viene eseguito, in linea coi dati degli anni precedenti (Eurostat). Che si possa far meglio, almeno per i tunisini? Da vedere, perché l’accordo con la Tunisia del 2011 prevede un massimo di 80 rimpatri a settimana, che eseguiamo per lo più con voli charter, costi notevoli e un importante dispendio di forze, soprattutto in caso di trasferimenti scortati. C’entrano i giudici? No, se ne occupa il Viminale. Comunque si concluderà la questione dei Paesi sicuri, ora al vaglio della Corte di giustizia Ue, l’efficacia degli accordi coi Paesi d’origine, quelli che consideriamo sicuri, e i relativi tassi di rimpatrio (Bangladesh 5% ed Egitto 12%), non lasciano immaginare un boom di rimpatri. E cozzano con la spesa sostenuta per i centri albanesi, dove le probabilità di riuscita sono le stesse, che le toghe siano rosse, verdi o a pois.