Anche se sono passati diciassette anni, un crimine efferato come la cosiddetta “strage di Duisburg” è ancora vivo nella memoria collettiva dei fatti di mafia. Soprattutto perché ebbe luogo fuori dei confini italiani, in quella Germania dei primi anni Duemila che era il vero e indiscusso (allora) motore economico dell’Europa e che si pensava immune, o al massimo solo sfiorata lateralmente, dal contagio della grande criminalità.
Invece quella mattanza a firma della ‘ndrangheta – sei corpi straziati fuori da un ristorante, tutti calabresi della Locride – aprì gli occhi su una realtà che pochi ancora volevano vedere. La criminalità organizzata italiana era diventata trans-nazionale; si serviva di Paesi come la Germania per farne il luogo degli investimenti, del riciclaggio del denaro che scorreva a fiumi dal traffico di sostanze stupefacenti. La parola d’ordine era sempre stata quella del profilo basso: perché allora una strage così sanguinosa?
Fra i pochi che in quel 2007 avevano compreso la gravità e l’ampiezza del fenomeno c’erano alcuni magistrati e alcuni giornalisti. Uno di questi è Antonio Nicaso, che a poca distanza dai fatti, scrisse un libro d’inchiesta dal titolo eloquente: ’Ndrangheta. Le radici dell’odio. Un percorso a ritroso fra riti di iniziazione, traffico di droga, omicidi di uomini, donne e bambini, globalizzazione e nuove tecnologie, che trovava proprio nella strage di Duisburg del 15 agosto 2007 il suo punto di partenza e allo stesso tempo il punto d’arrivo.
Perché, come ricorda Nicaso nelle pagine del suo libro, “da quel sanguinoso evento in poi nessuno ha più potuto negare l’esistenza di questa organizzazione criminale che oggi è presente in quasi cinquanta Paesi del mondo”. E perché la pericolosità e l’efficienza di quella ‘ndrangheta vi si ritrovava tutta: “la determinazione e la professionalità degli assassini, il numero e l’età dei morti, il fatto che la strage sia stata compiuta a migliaia di chilometri di distanza da San Luca e la scoperta di un santino bruciato – indicatore inequivoco di una recente affiliazione rituale – trovato in tasca a uno dei giovani assassinati”.
Ma la ’ndrangheta non aveva previsto che gli investigatori e i magistrati italiani avrebbero assicurato alla giustizia e condannato con sentenza definitiva della Cassazione tutti i responsabili. In questo lavoro ostinato e certosino di indagine, un ruolo centrale lo ha avuto certamente Nicola Gratteri, oggi procuratore della Repubblica di Napoli. Nel libro di Nicaso si può leggere un’intervista al procuratore Gratteri che non è meno significativa della ricostruzione giornalistica dei fatti. E che spiega perfettamente il salto di qualità ‘ndranghetista: “È un’organizzazione duttile e rigida allo stesso tempo, fedele alla tradizione ma sensibile alle novità, con grandi entrature nel mondo degli affari e della politica”.
‘Ndrangheta. Le radici dell’odio è un titolo importante in una ideale bibliografia sulla criminalità organizzata degli anni Duemila. L’editore Aliberti ha deciso di ristamparlo e di farlo uscire in questi giorni in libreria, dove mancava da qualche anno, con una nuova introduzione dell’autore che ci aggiorna sui passi compiuti dal 2007 a oggi. Passi importanti, in qualche caso decisivi. Come la condanna, appunto, dei responsabili della strage. Questa volta, per una volta, lo Stato ha vinto.