Libri e Arte

“’Ndrangheta. Le radici dell’odio”, il libro che racconta la verità sulla strage Duisburg – L’ESTRATTO IN ESCLUSIVA

Un percorso a ritroso fra riti di iniziazione, traffico di droga, omicidi di uomini, donne e bambini, globalizzazione e nuove tecnologie, che trovava proprio nella strage di Duisburg del 15 agosto 2007 il suo punto di partenza e allo stesso tempo il punto d’arrivo

di F. Q.
L'estratto in esclusiva - 2/2

L'estratto in esclusiva - 2/2

Pubblichiamo, per concessione dell’editore, un estratto dal capitolo “La struttura e i codici”.

«Alla società maggiore facevano capo i camorristi, a quella minore i picciotti di primo pelo, governati, per delega del capobastone, dal capogiovane assistito dal puntaiolo, un contaiolo con meno responsabilità. Imitando le sette massoniche e carbonare e mutuando le regole dalla Garduna, un’organizzazione criminale di cui si hanno tracce in Spagna sin dal Quattrocento, la picciotteria si era circondata, dentro e fuori, di un alone di mistero, affidando la sua simbologia a un’allegorica iconografia. In essa la picciotteria era raffigurata come un giardino fiorito sovrastato da una stella sotto la quale cresceva l’albero della scienza, diviso in sei parti: il fusto (il capobastone, che ha potere di vita e di morte sugli altri affiliati), il rifusto (il vicecapo a cui sono affidati i compiti primari di collaborare con il capobastone e di curare l’amministrazione patrimoniale della società), i rami (’ndranghetisti con svariati anni di attività alle spalle, suddivisi, in base allo specifico settore nel quale operano, in tre categorie: di sgarro, di sangue e di seta), i ramoscelli (picciotti con compiti operativi), i fiori (giovani d’onore, ovvero coloro che aspirano a diventare picciotti) e le foglie (traditori destinati a marcire per terra). Alla linfa viene assimilata l’omertà, cioè la capacità di tenersi tutto dentro. […]

Ad Antonio Zagari, per esempio, la sfida dell’onore viene proposta sin dal primo vagito. Il padre gli aveva messo vicino alle mani un coltello e una grande chiave di quelle antiche. Se avesse toccato il coltello sarebbe diventato ’ndranghetista, altrimenti avrebbe fatto lo “sbirro”. In realtà la chiave era stata collocata un po’ distante in modo da non poter essere toccata.

Era nato in una famiglia di ’ndrangheta. Il padre, Giacomo, era originario di San Ferdinando, in provincia di Reggio Calabria. Picciotto, camorrista di sgarro e camorrista di sangue. Aveva vissuto tutte le ere della ’ndrangheta. I sequestri di persona. La droga. Gli appalti. La galera. Poi aveva deciso di collaborare con la giustizia.

«Che cosa cercate?», si chiedeva a quelli come lui che entravano a far parte della ’ndrangheta.

«Cerco sangue e onore», era la risposta.

«Sangue per chi?»

«Per gli infami».

«E onore per chi?»

«Per l’onorata società».

«Siete a conoscenza delle nostre regole?»

«Sono a conoscenza».

«Prima della famiglia, dei genitori, delle sorelle, dei fratelli, viene l’interesse e l’onore della “Società”. Essa da questo momento è la vostra famiglia, se commetterete infamità, sarete punito con la morte. Come voi sarete fedele alla società, così la società sarà fedele con voi e vi assisterà nel bisogno. Questo giuramento può essere infranto solo con la morte, siete disposto a questo? Lo giurate?»

«Lo giuro nel nome dell’arcangelo Michele, della Sacra corona dell’onorata società», aveva replicato. «Da questo momento la mia famiglia siete voi, sarò sempre fedele e solo la morte potrà allontanarmi, mi rimetto a voi per macchie d’onore, tragedie o infamità, a mio carico o discarico di tutta la società, se farò sbaglio verrò punito con la morte».

Il capobastone, sentite e approvate queste parole, con un coltello pungeva all’aspirante picciotto l’indice destro, facendo cadere qualche goccia di sangue sopra un santino a cui era stato dato fuoco. Poi veniva messo in guardia: «Come il fuoco brucia questa immagine, così brucerete voi se vi macchiate di infamità. Se prima vi conoscevo come un “contrasto onorato”, da ora vi conosco come “picciotto d’onore”».

L’obbligo era di tramandarne il contenuto oralmente. Ma alcuni ’ndranghetisti, per paura di dimenticarlo, hanno commesso la leggerezza di trascriverlo. Il primo documento nel quale si parla esplicitamente di regole e di riti è stato scoperto a Seminara nel 1896 e pubblicato nel 1900 da un magistrato, Luigi Ferraioli, in un saggio intitolato Picciotteria. Sui fogli, vergati a penna con scrittura incerta, si parla di omertà e di mutua assistenza tra gli affiliati, di sussidi economici da assicurare alle famiglie dei carcerati e di spese da affrontare per pagare gli avvocati. Non solo: per la prima volta si fa riferimento agli stipendi fissi da corrispondere ai “fratelli”. Il documento è di assoluta rilevanza perché prova come la ’ndrangheta abbia memoria e tradizione.

Da allora, la polizia ha sequestrato documenti simili anche oltreoceano, in Australia e in Canada. Più che un compendio di regole, i codici costituiscono un alibi, un appiglio, un pretesto. Se non ci fossero, gli ’ndranghetisti si scoprirebbero nudi. […]

Il grande vantaggio della ’ndrangheta è quello di aver compartimentato e reso impermeabile la propria struttura organizzativa, creando un sistema capace di garantire un capillare controllo del territorio, ma anche di operare al di fuori dei confini regionali con un’azione di vera e propria colonizzazione mafiosa. Oggi per capire la ’ndrangheta, più che dell’albero della scienza, c’è bisogno dell’atlante geografico.

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti
Precedente
Precedente
Playlist

I commenti a questo articolo sono attualmente chiusi.