Continuano a peggiorare le prospettive di crescita dei grandi Paesi dell’Eurozona, Italia compresa. L’Ocse, nell’Economic Outlook presentato oggi a Parigi, ha rivisto al ribasso le stime per la Penisola a 0,5% nel 2024 (contro il +0,8% di settembre), 0,9% nel 2025 (da +1,1%) e all’1,2% nel 2026, sotto le previsioni della Commissione Ue. Taglio anche per Francia (+1,1%) e Germania (0%): Parigi e Berlino dovrebbero registrare rispettivamente un Pil a +0,9% e a +0,7% il prossimo anno, in frenata di 0,3 punti rispetto alle previsioni settembre.
Questo non dovrebbe impedire alla crescita mondiale di raggiungere il 3,3% nel 2025, in aumento di 0,1 punti sul 2024 grazie all’impulso della crescita Usa vista al 2,4%. Ma restano “significativi rischi di ribassi” legati alle guerre e ai dazi sull’import. L’inflazione nell’area Ocse segnerà +5,4% nel 2024 per poi scendere al 3,8% nel 2025 e ancora giù al 3% nel 2026.
Per l’Italia come al solito si sottolinea che la puntuale attuazione del Pnrr e le riforme strutturali saranno “essenziali” per sostenere la crescita e la sostenibilità dei conti pubblici alla luce della crescita della spesa, per le pensioni in particolare. Le riforme saranno essenziali anche per “affrontare la carenza di lavoratori in un contesto di rapido invecchiamento della popolazione” intervenendo anche in aree chiave come i servizi pubblici di assistenza all’infanzia e il miglioramento dell’istruzione terziaria tecnica per portare più donne e giovani nel mercato del lavoro. “Sarebbe utile incoraggiare una maggiore partecipazione femminile alla forza lavoro continuando a espandere i servizi pubblici di assistenza all’infanzia“, si sottolinea nell’Outlook, aggiungendo che “l’aumento degli apprendistati e il potenziamento dell’istruzione terziaria tecnica potrebbero contribuire ad affrontare l’alta percentuale di giovani che non frequentano corsi di istruzione, lavoro o formazione”.
Commentando la legge di Bilancio 2025 l’organizzazione parigina nota che l’orientamento della politica fiscale italiana passerà da ampiamente neutrale nel 2024 a moderatamente restrittivo nel 2025-26, in linea con il piano strutturale di bilancio di medio termine del governo. Nel 2024 la prevista eliminazione graduale delle misure di sostegno alla politica energetica, pari a un inasprimento fiscale di circa l’1% del Pil, è ampiamente compensata da imposte sul reddito inferiori dovute alla fusione della prima e della seconda aliquota, al taglio del cuneo contributivo per i lavoratori a basso e medio reddito e all’atteso aumento della spesa correlata ai fondi Next Generation EU.
Il problema è che “l’espansione degli investimenti pubblici da parte del governo legati al National Recovery and Resilience Plan (NRRP) e la sua mossa per rendere permanenti i tagli fiscali sono sviluppi positivi, ma richiedono misure di compensazione, sia attraverso tagli alla spesa che aumenti delle tasse altrove. Mentre i piani di consolidamento a breve termine si basano principalmente sullo smantellamento di misure una tantum e temporanee, il raggiungimento di un aggiustamento fiscale a medio termine richiederà un’azione coraggiosa per frenare la crescita della spesa pensionistica, aumentare le imposte sulla proprietà, anche allineando il catasto immobiliare ai valori di mercato, contrastare l’evasione fiscale e condurre revisioni approfondite della spesa”.
“L’economia globale resta resiliente“, afferma l’Ocse. “Il calo dell’inflazione sta dando una spinta alla crescita del reddito reale delle famiglie e alla spesa, anche se la fiducia dei consumatori non è ancora tornata ai livelli pre-pandemici in molti Paesi. Il mercato del lavoro continua ad allentarsi, anche se la disoccupazione rimane generalmente ai minimi storici o quasi”. In negativo pesano le tensioni geopolitiche, “in particolare se i conflitti in evoluzione in Medio Oriente dovessero intensificarsi e porre rischi per la sicurezza delle forniture di petrolio dalla regione”: un inatteso forte aumento del prezzo del petrolio “farebbe crescere l’inflazione globale e colpirebbe la fiducia e la crescita, soprattutto nei paesi importatori di petrolio”. Inoltre, “l’incertezza della politica commerciale è aumentata notevolmente negli ultimi mesi, aggiungendosi alle preoccupazioni generate dal continuo aumento delle misure restrittive all’importazione attuate dalle principali economie. Ulteriori restrizioni al commercio globale aumenterebbero i prezzi delle importazioni, i costi di produzione per le imprese e peggiorerebbero il tenore di vita dei consumatori”, avverte l’Ocse. Chiaro il riferimento ai dazi annunciati da Donald Trump nei confronti di Messico, Cina, Canada e potenzialmente Europa.