È iniziata con tre giorni trascorsi in una cantina dopo essersi calato con le lenzuola oltre il muro di cinta ed è finita in un ristorante di lusso vicino a Bastia. È passata per le montagne della Gallura, dove ha dormito per quattro mesi in una tenda, e abitazioni di campagna del Gargano, perché casa non si dimentica ed era necessario aprire il fuoco personalmente per un regolamento di conti. Ha utilizzato criptofonini di un’ultima generazione, acquistati da contatti calabresi, e un’auto d’epoca per uno spostamento verso Parma. La latitanza di Marco Raduano è stato un viaggio tra l’alto e il basso lungo la rotta Sardegna, Puglia, Spagna e Corsica. Metodi antichi e mezzi nuovi ricostruiti in un’inchiesta che ha svelato una complessa rete di fiancheggiatori del boss di Vieste, evaso dal carcere di Badu e Carros il 23 febbraio 2023 e arrestato nell’isola francese lo scorso 1 febbraio. Ventuno gli arresti effettuati su richiesta delle procure antimafia di Cagliari e Bari – rispettivamente 14 e sette – al termine di un’indagine che, finora, conta 58 persone sotto la lente degli inquirenti.
L’evasione: lenzuola e doppioni delle chiavi
Gli investigatori coordinati dai procuratori delle due Dda, Rodolfo Sabella e Roberto Rossi, hanno ricostruito per filo e per segno gli undici mesi di latitanza di Raduano, diventato collaboratore di giustizia subito dopo l’arresto come raccontato da MillenniuM. Anche grazie alle sue ammissioni è stato accertato che tra coloro che ne favorirono la fuga dal carcere di massima sicurezza, calandosi con alcune lenzuola intrecciate, ci sarebbe stato anche un agente della penitenziaria, Salvatore Deledda, già arrestato e condannato in abbreviato per aver agevolato l’ingresso di cellulari nel carcere. Sarebbe stato lui, secondo la ricostruzione degli inquirenti, a fornire al boss della mafia garganica un telefonino criptato prima del 24 febbraio. Quel giorno Pallone – come è soprannominato Raduano – aveva a disposizione anche un gancio prelevato dalle officine del carcere che gli ha permesso di scavalcare il muro di cinta con le lenzuola annodate e una serie di doppioni di chiavi della struttura. Appena iniziata, però, l’evasione del boss – che lui stesso ha definito studiata e progettata “da tempo” – ha rischiato di naufragare.
In tenda per 4 mesi, poi la fuga dall’isola
All’esterno del carcere – come riferito dagli investigatori – avrebbe dovuto avere il supporto di un uomo che però non si presentò, forse a causa di un controllo delle forze dell’ordine. Per questo, fu costretto a trascorrere tre giorni acquattato in una cantina di un’abitazione di Nuoro prima di riuscire ad allontanarsi grazie a un complice veneziano. Per un breve periodo ha poi dormito nelle campagne di Bitti, sempre nel Nuorese, e si è quindi spostato una sessantina di chilometri più a nord nascondendosi per quattro mesi in una tenda nelle campagne di Padru, una zona impervia della Gallura. Lì è rimasto almeno fino a giugno dello scorso anno, quando è riuscito a lasciare l’isola per trasferirsi in Corsica. Una tappa temporanea, alla quale è seguito un altro trasbordo, questa volta in Spagna – nella zona di Granada – insieme al suo braccio destro Gianluigi Troiano, anche lui latitante e catturato pochi giorni prima di Raduano. Il fermo del fedelissimo ha poi costretto il boss a fuggire di nuovo in Corsica, dove è stato arrestato l’1 febbraio mentre si trovava nel parcheggio del ristorante U Spurtinu di Aléria insieme a una donna che era monitorata dagli agenti del Ros, guidati dal colonnello Lucio Arcidiacono. Lì sono scattate le manette ai polsi del boss, inserito nella lista Europol dei tre ricercati italiani più pericolosi.
I criptofonini e il “ritorno di fuoco” a Vieste
I carabinieri del Raggruppamento operativo speciale, la Squadra mobile di Nuoro, lo Sco, le Sisco di Cagliari e Venezia avevano stretto da tempo il cerchio attorno alla rete di fiancheggiatori. Nonostante Raduano avesse messo in campo molteplici mezzi per eludere le indagini. Come si legge nell’ordinanza di custodia cautelare firmata dalla gip di Bari, Gabriella Pede, i contatti con i suoi sodali foggiani – Michele Gala, Antonio Germinelli, Michele Murgo, Danilo Notarangelo e Marco Rinaldi, tutti arrestati per gli appoggi e il denaro frutto del traffico di droga fornito per sostenere la latitanza – sono sempre stati tenuti attraverso i criptofonini, almeno sette, acquistati da contatti calabresi per una cifra attorno ai 1.500 euro. Alcuni familiari monitorati, però, parlano tra di loro; il boss cerca contatti con il figlio e altri parenti. Qualcosa si inizia a capire. Ma Raduano non fa mai una mossa falsa. Si sente al sicuro, così protetto, soprattutto a casa sua, da farci ritorno nell’autunno dello scorso anno. Il 16 ottobre è a Vieste, insieme a Troiano, per una spedizione di morte che non andrà a buon fine. A bordo di un’auto con targa polacca, i due tentano di uccidere Gennaro Cariglia, quindi si nascondono in un casolare di campagna prima di spostarsi a Parma a bordo di un’auto d’epoca e da lì poi fare ritorno all’estero.
L’andirivieni di pacchi dalla Corsica
A fine novembre del 2023, Raduano e Troiano sono di nuovo in Corsica. Il boss sente la mancanza di casa e si fa spedire alcuni pacchi con prodotti tipici e vini del Gargano. È una delle tracce che gli investigatori seguono per mettere insieme i fili e localizzare il latitante. Non si tratta dell’unica spedizione tra l’isola francese e il Gargano, spesso triangolate su Venezia, dove l’ex capo di una delle fazioni più feroci della mafia garganica poteva contare su Rinaldi, secondo la ricostruzione degli inquirenti. Prima di Natale è infatti proprio Raduano a mandare alcuni pacchi a casa. Sono pieni di oggetti e abiti di lusso, che i due hanno rubato in un magazzino a Lucciana, riempiendo dieci sacchi con capi di note griffe. Mancano due mesi al suo arresto. Il boss farà ancora ritorno in Spagna e rientrerà in Corsica dopo la cattura di Troiano. Il suo destino è ormai segnato e i pacchi sono uno snodo cruciale. Il cerchio è stretto attorno al latitante: l’attenzione viene concentrata nell’area di Bastia, nei pressi dell’aeroporto, dove sorge un vivaio di proprietà di un francese con “noti legami con esponenti della criminalità organizzata”. In quell’azienda lavorava anche la donna che porta gli investigatori dritti da Raduano. Si chiama Chloe, arriva verso le 18 in un parcheggio vicino al ristorante U Spurtinu. Un’ora dopo, Raduano la raggiunge. Non sa che lì ci sono anche gli uomini del Ros. La fuga è finita.