Scrivono “dimissioni”, ma quello di Tavares è un licenziamento. Certo, un licenziamento sui generis. Perché nemmeno quando si interrompe un rapporto di lavoro siamo uguali. Se a esser licenziato è un membro dell’“élite manageriale internazionale” gli si pagano milioni di buonuscita. Addirittura 100 – pare – nel caso di Tavares. Se a esser licenziato è uno dei “nostri”, invece, un calcio nel sedere, due spicci di disoccupazione e poi il baratro della precarietà.

Il Natale di Tavares è salvo. A prescindere dalla buonuscita, dato che è stato il manager più pagato dell’industria automobilistica: se nel 2021 Herbert Diess, presidente del più grande gruppo al mondo, Volkswagen (VW), guadagnava 8,4 milioni, Tavares arrivava a stratosferici 17,07 milioni; nel 2022, però, ha dovuto stringere la cinghia: i suoi guadagni calano a “soli” 14,92 milioni (anche i ricchi piangono); ma nel 2023 riprendono il volo: 23,47 milioni.

Se Tavares avrà di che brindare, non si può dire lo stesso per i dipendenti Stellantis. Giacomo Zulianello, operaio delle Carrozzerie a Mirafiori e delegato Fiom: “Ho 58 anni, […] un quarto livello, con tutti gli scatti d’anzianità. Se lavorassi tutti i giorni prenderei tra i 1.750 e 1.800€, con la cassa invece lo stipendio si riduce a 1.100, 1.150€. La tredicesima è basata solo sui giorni lavorati, quindi sarà magrissima”.

Tavares ha attaccato sia i salari che i posti di lavoro.

A Termoli 400 lavoratori in cassa integrazione (CIG). Doveva essere il fiore all’occhiello, con la riconversione alla produzione di batterie elettriche. Ma la Gigafactory è già una lontana promessa. Intanto Elkann si affretta a rassicurare il Governo Sanchez: “la Spagna è un Paese chiave per Stellantis” (Expansiòn, 3/12/2024) e il progetto per la costruzione della gigafactory di Saragozza con i cinesi di Catl andrà avanti.

Lo stabilimento di Cassino nel 2017 contava 4.500 dipendenti; oggi sono 2.700. E vanno avanti con CIG e contratti di solidarietà che fanno scendere le buste paga, anche sotto i 1.000€ al mese.

Ogni fabbrica racconta la stessa storia. Non solo quelle Stellantis, ma pure quelle di componentistica e indotto. Un ecosistema di 5.500 imprese e 270mila lavoratori e lavoratrici.

Mentre Tavares portava avanti il suo progetto, il potere mediatico applaudiva. Come il lungimirante Il Foglio, che il 19 gennaio 2021 titolava: “Tavares, un vero pilota per guidare Stellantis”, per terminare con un “il futuro è già cominciato”. Qualcuno, addirittura, censurava le critiche. È il caso di Molinari, ex direttore di Repubblica (quotidiano del Gruppo Gedi, proprietà della Exor della famiglia Elkann-Agnelli), che mandò al macero centomila copie del settimanale Affari & Finanza per la presenza di un articolo troppo critico proprio verso la Stellantis dei suoi padroni.

Non che il potere economico fosse meno caloroso verso il “pilota” Tavares, se è vero che Geoffroy Roux de Bézieux, presidente di Medef (la Confindustria francese), si dava a toni tra il pop e il lirico, sostenendo che “Tavares è davvero il Kylian Mbappé dell’automobile”. Roux de Bézieux come un Fassino d’Oltralpe: dopo un anno e mezzo Tavares ha contribuito a far sprofondare Stellantis in una crisi epocale ed è stato messo alla porta, mentre Mbappé nel Real Madrid è sommerso dalle critiche.

Il potere politico in Italia continuava a lavorare come sempre aveva fatto. Stendendo tappeti rossi e regalando soldi. Tanti soldi. Milena Gabanelli ha calcolato che il 40% degli investimenti di Fiat sono stati finanziati dallo Stato italiano. Dal 2016 a oggi, prima a Fca e poi a Stellantis, i governi hanno concesso 100 milioni in incentivi.

Tra 1991 e 2020 lo Stato regala 3,5 miliardi per costruire l’impianto di Melfi e per l’indotto. Nel 2021, alla nascita di Stellantis, i dipendenti erano 6.800, oggi 5.300. Denaro pubblico in cambio di meno lavoratori.

Ancora: centinaia di milioni a disposizione tra CIG, agevolazioni per assunzioni e contratti di espansione. Dal 2021 al 2024, mentre la CIG saliva a 984 milioni, i dipendenti calavano di 10mila unità (uscite volontarie incentivate con cifre da 30mila a 130mila euro, per un totale di circa 600-700milioni). Nello stesso triennio, Stellantis distribuiva 16,4 miliardi di dividendi, di cui 2,7 finiti nella holding di Elkann ad Amsterdam. Fuori dall’Italia, lì dove l’aveva portata l’osannato Marchionne.

Checché ne dica La Repubblica del 3 dicembre – “Stellantis, ora si cambia” – il licenziamento di Tavares non apre necessariamente a novità positive. Il calo della produzione riporta a un’altra epoca: era dal 1957 che i veicoli prodotti in Italia non si fermavano a circa 300mila unità. Per cambiare direzione, più che nuove auto servono nuove idee. Le prospettate nuove fusioni – innanzitutto con Renault – potrebbero sì comportare più tecnologia, ma anche più licenziamenti, chiusure e disoccupazione, nascoste dietro la parola magica “razionalizzazione”. L’attuale modello di mobilità, incentrato sul trasporto privato, è insostenibile e va abbandonato in favore di uno incentrato sul trasporto pubblico, accompagnato da “mobilità dolce”, sharing, nuove tecnologie per ridurre e ottimizzare gli spostamenti.

Siamo di fronte a un passaggio d’epoca che non può esser gestito dai grandi gruppi privati. L’unico attore che può promuovere la trasformazione nell’interesse della maggioranza è il pubblico. Nemmeno però bastano solo le buone idee. C’è necessità di un’ampia mobilitazione popolare, a partire dai posti di lavoro minacciati da chiusure e licenziamenti. A settembre, a Bruxelles gli operai della Audi hanno confiscato 200 chiavi di auto di alta gamma per protestare contro l’annunciata chiusura dello stabilimento e imporre negoziati. Il 2 dicembre in Germania i lavoratori Volkswagen hanno iniziato uno sciopero a oltranza per contrastare la politica di tagli e chiusure annunciati da VW.

Per la trasformazione necessaria ai lavoratori e ai nostri popoli c’è bisogno di una vera rivolta sociale, da costruire e organizzare, non solo da usare come slogan.

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