I paesi Ue stanno discutendo la creazione di un fondo comune da almeno 500 miliardi di euro per progetti comuni di difesa e approvvigionamento di armi, attingendo ai mercati obbligazionari. L’obiettivo, scrive il Financial Times nell’edizione online, è aumentare la capacità di spesa in previsione del ritorno alla Casa Bianca di Donald Trump, convinto come è noto che gli Stati Uniti contribuiscano troppo al bilancio della Nato mentre i membri dell’Ue non spendono a sufficienza.

A differenza che nell’ipotesi di finanziare la spesa militare con Eurobond, che era riemersa a metà novembre durante un vertice tra i ministri della Difesa di Italia, Francia, Germania, Spagna, Regno Unito e Polonia, la partecipazione al fondo sarebbe volontaria e aperta agli Stati non Ue, come Regno Unito e Norvegia. Questo risolverebbe il nodo delle restrizioni sull’utilizzo di fondi comuni europei per scopi militari. E gli stati membri militarmente neutrali come Austria, Malta, Irlanda e Cipro potrebbero chiamarsi fuori senza porre il veto.

L’Europa, ricorda il quotidiano finanziario, è da tempo alle prese con il dilemma di come aumentare la spesa per la difesa, sia per sostenere l’Ucraina sia per prepararsi alla nuova presidenza di Trump che ha avvertito di non essere intenzionato a “proteggere” gli alleati della Nato “se non pagheranno”. Dopo aver esplorato “innumerevoli modi per finanziare progetti aggiuntivi”, l’ipotesi di un fondo intergovernativo è emersa come quella più ambiziosa. Paesi Bassi, Finlandia e Danimarca sono ampiamente favorevoli all’idea, scrive il Ft. La posizione della Germania è incerta e dipenderà dalle elezioni federali di febbraio.

La Bei, che per statuto non può finanziare direttamente la produzione di armi e munizioni, svolgerebbe un ruolo tecnico amministrando la società veicolo che emetterebbe le obbligazioni, supportate da garanzie nazionali dei paesi partecipanti anziché dall’Ue nel suo complesso. L’entità del fondo è ancora in discussione, ma si punta a non scendere sotto i 500 miliardi di euro: secondo la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen sarà la cifra minima necessaria nel prossimo decennio per soddisfare le esigenze di sicurezza del continente.

La notizia arriva nel giorno in cui, audito davanti alla commissione Econ del Parlamento Europeo, il commissario europeo all’Economia Valdis Dombrovskis ha negato che ci sia “alcun piano concreto” su un’eventuale ridiscussione del nuovo patto di stabilità per consentire ai Paesi di scorporare dal calcolo del deficit le spese per la difesa, come auspicato dall’Italia. “La spesa per la difesa – ha detto – è stata lungamente discussa” durante le trattative per la riforma del patto di stabilità, “ma alla fine è stato deciso di non escluderla” dal computo del deficit. L’unica concessione è che quelle spese vengono considerate “fattore rilevante” nelle valutazioni nel braccio correttivo del patto. Il ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani ieri aveva sostenuto di aver “già raccolto ampio consenso” sulla proposta.

Dal canto suo il titolare della Difesa, Guido Crosetto, al question time al Senato ha ribadito che bisogna “ragionare subito” sul “limite (2% del pil ndr) che ci verrà chiesto di raggiungere in tempi brevissimi, così come ci aveva chiesto la Nato e a cui non potremo sottrarci”. Finora quest’anno – ha ricordato – il Parlamento ha messo a disposizione, con l’approvazione della legge di bilancio, l’1,57% del Pil, ma “ricordo a tutti che tutti i Governi si sono impegnati ad arrivare al 2% entro il 2028. A questo punto, non posso che manifestare una mia preoccupazione per la possibilità di arrivare a quel risultato, se non cambieremo le regole europee”.

Intanto, in vista della riunione dei ministri delle Finanze dei Paesi dell’Eurozona in agenda lunedì, un funzionario europeo citato dall’Ansa fa sapere che “non si pensa di discutere di spesa comune a livello di Eurogruppo”. Iniziative per aumentare i finanziamenti sulla difesa saranno invece “parte della discussione del prossimo quadro finanziario pluriennale dell’Ue”.

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