Mondo

Cade il governo francese: l’Italia per certi versi dovrebbe prendere appunti

di Giovanni M

Come volevasi dimostrare, è successo. L’ennesima caduta del governo francese che, dopo le elezioni di giugno, non ha espresso certamente la volontà del popolo.

Eppure era chiaro sin dall’inizio che l’era Barnier non sarebbe durata molto: partiva già azzoppata dai mal di pancia a seguito dell’embargo da parte di Emmanuel Macron sulla proposta di inserire come Primo Ministro Lucie Castets, candidata della coalizione guidata da Jean-Luc Mélenchon. Tutto questo con un “appoggio esterno” che arrivava dall’altro fronte vincente, Le Rassemblement National di Marine Le Pen assieme all’Udx.

L’Eliseo già non godeva di grande gradimento prima delle elezioni pre-olimpiadi: la modifica dell’età pensionabile da 62 a 64 anni bypassando il voto dell’Assemblea Nazionale ricorrendo all’articolo 49.3 della Costituzione portò i francesi a 15 giorni di scioperi e proteste; stessa situazione che ha innescato il casus belli dell’ultima sfiducia (stavolta in materia di welfare).

Ieri, nel giro di 3 ore, avrò sentito la frase “minaccia alla democrazia” 30 volte di seguito: ora, è legale avvalersi di leggi in vigore che surclassano il parlamento, ma esattamente dove sta la minaccia se, per effetto delle stesso diritto, si presenta una mozione di sfiducia? Soprattutto, quando vince una coalizione e tu piazzi una persona a tuo piacimento che non esprime certamente ciò per cui ci si è recati alle urne (lecito e legiferato farlo), cosa ti aspetti che succeda?

Mi diverte molto come stamani, in molti, siano a dettare giudizi al di fuori del paese coinvolto perché la democrazia sta realmente funzionando anziché sostenere queste gestioni fantasma che tanto piacciono agli Usa e che più di imputare le loro volontà non fanno.

Posso dire di più. C’è chi sta già proiettando nel nostro paese una probabile situazione simile a quella che si sta ventilando oltralpe: un governo tecnico (sappiamo quanto questo tipo di amministrazioni elettrizzi gli animi di molti).

C’è solo un grande problema: la storia ci racconta che le più grandi rivoluzioni, per la maggioranza dei casi, sono partite dalla Francia. L’Italia, seppur stavolta può insegnare qualcosa ai francesi (l’insediamento di un possibile governo tecnico), dovrebbe, per certi versi, stare lì a prendere appunti.

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