Da quando Israele è sotto processo presso la Corte Internazionale di Giustizia dell’Aia, a seguito di una causa intentata dal Sudafrica e sostenuta da Spagna, Belgio, Irlanda, Messico, Bolivia, Nicaragua, Colombia, Cile, Cuba, Egitto, Libia, Turchia, Maldive e Palestina, oltre che appoggiata da più di 80 nazioni, numerosi intellettuali si sono cimentati in acrobazie dialettiche per giustificare, minimizzare o negare il “genocidio” del popolo palestinese.
Eppure i numeri e i fatti parlano chiaro: una stima di 150.000 tra morti e feriti; il massacro e l’amputazione di circa 20.000 bambini; 2 milioni di sfollati; la distruzione o il danneggiamento di oltre l’80% delle abitazioni, il 90% delle scuole e tutte le università; oltre 500 attacchi a ospedali, 130 ambulanze colpite; il bombardamento di tutte le panetterie. A ciò si aggiunge l’assassinio indiscriminato di medici, personale sanitario, volontari, funzionari dell’Onu e giornalisti. L’uso della fame come arma di guerra – tramite il blocco sistematico di cibo, acqua, carburante, aiuti umanitari e medicine – ha ridotto il 91% della popolazione di Gaza a una grave o catastrofica insicurezza alimentare. Muoiono di fame, appunto. Inoltre, sono state trovate fosse comuni, come riportato ad esempio in un editoriale della Reuters che descriveva il ritrovamento di 400 corpi, molti con le mani legate, in due ospedali di Gaza.
Oltre a questi numeri schiaccianti si aggiungono le analisi degli esperti più autorevoli al mondo nel campo del genocidio. Raz Segal, professore di Studi sull’Olocausto e sul Genocidio presso la Stockton University, già alla fine del 2023 aveva definito Gaza un “caso da manuale di genocidio”. Pochi mesi dopo, oltre 800 studiosi ed esperti di diritto internazionale e genocidi hanno firmato una dichiarazione che avvertiva della concreta possibilità che le azioni israeliane a Gaza configurassero atti genocidari. Lee Mordechai, storico dell’Università Ebraica di Gerusalemme, ha dichiarato: “Le prove che ho visto sono…sufficienti per farmi credere che Israele stia commettendo un genocidio”.
Secondo Amos Goldberg, professore di Storia dell’Olocausto: “Non è più possibile sfuggire a questa conclusione. La storia ebraica sarà d’ora in poi macchiata dal marchio di Caino del crimine dei crimini”. Perfino Omer Bartov, ex soldato dell’Idf (anche se sarebbe più corretto usare l’acronimo Iof) e storico del genocidio, in un editoriale per The Guardian ha ammesso il cambiamento della sua posizione sul tema: “Il 10 novembre 2023 scrissi sul New York Times che non c’erano prove di genocidio a Gaza. Ora non ci credo più.”
Molti altri accademici di fama mondiale come Avi Shlaim, Noam Chomsky, Ilan Pappé, Gabor Maté, Norman Finkelstein, Jeffrey Sachs e John Mearsheimer hanno definito senza esitazioni le atrocità di massa a Gaza un genocidio. Omar Shahabudin McDoom, professore associato di Politica Comparata presso la London School of Economics, ha delineato tre criteri chiave per definire un genocidio:
a) la violenza deliberata, organizzata e prolungata su larga scala;
b) l’obiettivo della violenza verso una popolazione chiaramente distinguibile (es. gruppo etnico);
c) l’adozione di misure finalizzate a impedire la sopravvivenza delle vittime.
Sulla base di questi tre indicatori, McDoom conclude: “Le azioni del governo israeliano possono essere considerate genocidio”.
Il termine “genocidio” è inoltre utilizzato in modo deliberato anche nei rapporti ufficiali di organizzazioni internazionali, come le Nazioni Unite, e di istituti specializzati in crimini di guerra. L’Istituto Lemkin per la Prevenzione del Genocidio e Genocide Watch, ad esempio, non fanno giri di parole: “Israele sta commettendo un genocidio a Gaza”.
The Lemkin Institute has had it with the cynical lies and propaganda from Israel and the USA. One can have different views about the definition of genocide, but one may not use definitional disputes to deny genocide. If a genocide may be occurring, every nation is compelled by… pic.twitter.com/KTZrbACgyW
— Lemkin Institute for Genocide Prevention (@LemkinInstitute) May 28, 2024
Oltre alle opinioni di questi esperti, esistono articoli ed editoriali pubblicati su riviste scientifiche internazionali. Il titolo di un articolo su Journal of Genocide Research di Martin Shaw, professore di Relazioni Internazionali presso l’Istituto di Studi Internazionali di Barcellona, non potrebbe essere più chiaro: “ineluttabilmente genocida.” Nimer Sultany, professore della School of Oriental and African Studies di Londra, ha pubblicato un articolo nella stessa rivista in cui sostiene che la soglia dell’intento genocida è stata ampiamente superata. Infine, vari editoriali pubblicati su riviste come Lancet e British Medical Journal hanno fatto esplicito riferimento al termine “genocidio” a Gaza.
I morti, le amputazioni, i massacri di bambini, la distruzione di scuole, case e ospedali, le esecuzioni di medici, volontari e giornalisti, gli incitamenti genocidari di politici, opinionisti e soldati israeliani, l’uso della fame come strumento di guerra, le fosse comuni, le opinioni degli esperti di genocidio, le posizioni dell’Onu e di istituzioni non governative che si occupano di genocidio convinceranno mai chi razionalizza, minimizza o nega il genocidio a Gaza? Forse no.
Nonostante alcuni progressi recenti nello sviluppo di un senso di cittadinanza mondiale ed empatia universale, in troppi casi le nostre menti rimangono ingabbiate, manipolate, ritardate, da sentimenti tribali, territoriali, etnocentrici e nazionalistici. Queste “prigioni cognitive” ci impediscono di metterci nei panni di chi non è come noi, di chi ha un colore della pelle diverso dal nostro, di chi prega un Dio che non adoriamo, di chi sventola una bandiera che non ci piace. Queste “gabbie mentali” creano un muro tra noi e gli altri, impediscono di assegnare eguale dignità alla vita, fino a renderci incapaci di sentire la sofferenza di chi ha l’unica colpa di non essere come noi.
Anni, decenni, secoli di etnocentrismo, nazionalismo, socializzazione e manipolazione ci hanno spinti a “sentire a targhe alterne” e a credere che solo alcuni bambini meritano la nostra compassione. Gli altri, invece, possono crepare. Con proiettili alla testa, al cuore, o sotto le bombe che noi, cittadini occidentali, abbiamo aiutato a fabbricare, con le nostre tasse, i nostri voti, il nostro silenzio, il nostro negare, distinguere e giustificare.