Economia & Lobby

Istat: Pil 2024 allo 0,5% (metà della stima del governo). Il Mef: “Male l’industria, serve strategia Ue per rilanciarla”

Surreali le reazioni di una parte della maggioranza che esulta: "L’economia italiana sta ripartendo"

L’Istat stima che il Pil italiano si appresti a chiudere il 2024 con un progresso dello 0,5%, la metà rispetto alla previsione del governo su cui è stata costruita la legge di bilancio. Il dato Istat si allinea a quello diffuso mercoledì dall’Ocse. Per il 2025 è invece atteso un progresso dello 0,8%, inferiore dello 0,4% rispetto a quanto indicato dal governo Meloni. Le opposizioni attaccano accusando il governo, come fa il leader del M5s Giuseppe Conte, di un totale scollamento con i bisogni del Paese: “Il governo si è vantato di essere la locomotiva d’Europa, adesso la triste realtà”. Critiche anche dal Pd. Per Chiara Braga, capogruppo alla Camera, “se l’Italia cresce meno del previsto non è colpa del maltempo, ma di politiche economiche inefficaci. È il prezzo che paghiamo alla mancanza di interventi seri in favore di settori in crisi, primo fra tutti quello dell’automotive”.

Surreali le reazioni di una parte della maggioranza: secondo Beatriz Colombo, deputata di Fratelli d’Italia, si tratterebbe di dati che “confermano che l’economia italiana sta ripartendo grazie alle politiche del governo Meloni”. E il presidente dei senatori di FdI, Lucio Malan, esulta per le stime Ocse sostenendo che “continuano le buone notizie per l’economia italiana”. Più realistico il commento di fonti del Mef: “I dati di aggiornamento sul Pil non sono, purtroppo, una sorpresa. Scontiamo i problemi molto seri dell’industria che continua a registrare, da un anno e mezzo, una crescita negativa. Tuttavia il settore industriale è in crisi non solo in Italia ma anche in Europa. Il governo sta facendo i suoi compiti a casa per far crescere il settore ma serve, in tempi stretti, una strategia complessiva a livello europeo per il rilancio industriale”.

Tornando ai dati, quest’anno il Pil crescerà, secondo l’istituto di statistica, grazie al contributo della domanda estera netta (+0,7 punti percentuali), mentre la domanda interna (consumi e investimenti) fornisce un apporto negativo (-0,2). Viceversa, nel 2025 la crescita dovrebbe essere trainata proprio domanda interna (+0,8). I consumi delle famiglie continuano a essere sostenuti dal rafforzamento del mercato del lavoro e dal recente incremento delle retribuzioni in termini reali (che non ha comunque permesso di recuperare appieno il potere d’acquisto perso negli ultimi anni, ndr). Il loro tasso di crescita dovrebbe accelerare nel 2025 (+1,1%, dopo il +0,6% nel 2024).

Gli investimenti fissi risultano in debole crescita nel 2024 (+0,4% dal +8,7% del 2023), a causa del venire meno degli incentivi fiscali all’edilizia (superbonus). L’effetto della fine degli stimoli fiscali sarebbe ancora più ampio nel 2025 quando, nonostante la spinta positiva derivante dall’attuazione delle misure previste dal Pnrr e dalla riduzione dei tassi di interesse, il tasso di crescita degli investimenti risulterebbe pari a zero.

La ripresa dell’occupazione osservata nel corso del 2024, misurata in termini di unità di lavoro (ULA), stando alle stime Istat è notevolmente superiore (+1,2%) a quella del Pil. Le differenti dinamiche si riallineerebbero nel 2025 (+0,8% per Pil e unità di lavoro). I miglioramenti sul mercato del lavoro favoriscono una forte riduzione del tasso di disoccupazione (6,5%, dal 7,5% del 2023), cui seguirebbe una ulteriore, leggera riduzione l’anno successivo (6,2%).

Il rientro del tasso di inflazione, favorito dall’effetto di contrazione dei prezzi dei beni energetici osservato nel 2024, è alla base della forte decelerazione del deflatore della spesa delle famiglie residenti (+1,1%, dal +5,1% del 2023); per il 2025 la tenuta di redditi e dei consumi dovrebbe determinare una risalita del deflatore della spesa delle famiglie (+2,0%).

L’Istituto di statistica segnala infine che l’effetto degli interventi della legge di bilancio sul Pil risulta positivo nell’intero triennio 2025-27: di poco inferiore a 2 decimi di punto nel 2025 e nel 2026, e di poco superiore ai due decimi nel 2027. Per l’Istituto, “l’effetto espansivo su redditi e consumi nominali (ossia al lordo dell’inflazione) si tradurrebbe in un aumento indotto del gettito delle imposte, sia dirette sia soprattutto indirette, migliorando quindi gli effetti della manovra sul deficit che potrebbe risultare, in termini di Pil, inferiore a quanto programmato nel Piano Strutturale di Bilancio presentato lo scorso settembre”.