“C’è qualche giornalista di sinistra che ricordi un solo caso di violenza attribuita alla destra con le stesse modalità usate dai violenti di sinistra? Io non ne conosco. Se ce n’è, deve essere un caso davvero raro perché non mi è noto. Sicuramente a Milano non c’è stato. E non mi dite che questi cattivissimi di destra, se avessero voluto, non avrebbero potuto rispondere pan per focaccia. Non apparteneva e non appartiene neanche alla mitologia di destra il colpire una persona sotto casa in quei modi”. È uno dei passaggi dell’intervento del presidente della Senato Ignazio La Russa, durante la presentazione del libro “Sergio Ramelli, una storia che fa ancora paura” di Guido Giraudo presso la Sala Tatarella della Camera dei deputati, dove ha presenziato il gotha di Fratelli d’Italia, da Fabio Rampelli al neo-capogruppo del partito meloniano alla Camera, Galeazzo Bignami.

Ed è proprio a quest’ultimo che La Russa, autore della prefazione del lavoro di Giraudo sul militante di Fronte della Gioventù assassinato nel 1975, dedica l’incipit del suo torrenziale intervento citando il padre, Marcello Bignami, che negli anni ’70 fu un noto esponente del Fuan e che fu sparato alle gambe nel 1974 davanti alla propria abitazione: “Papà tuo è stato uno degli esponenti di spicco che più hanno contribuito alla nascita di Alleanza Nazionale. Io ho conosciuto i tuoi genitori, quando non eri ancora nato, ricordatelo. Nel suo ricordo ti abbraccio, ti saluto e ti do il benvenuto tra i presidenti di gruppo. E ora vattìn”.

Poi il senatore dismette le sue vesti di seconda carica dello Stato per lanciarsi in una invettiva contro gli estremisti di sinistra, non solo degli anni ’70 ma anche attuali, salvo poi indietreggiare con un colpo al cerchio e un altro alla botte attraverso incisi riparatori (“La violenza è sempre tutta da condannare, ma adesso vi dico una bella frase: non facciamo di tutte l’erba in fascio“). Ma una cosa è certa: il suo rifiuto della parola ‘antifascismo’, accompagnato dalla pervicace difesa della sua parte politica e dalle solite stoccate ai “giornalisti di sinistra”.
“C’è per caso qualcuno – rincara La Russa – che ricordi gruppi di destra che hanno impedito a quelli di sinistra di prendere la parola in una scuola, in un’università o che abbiano interrotto un comizio, un convegno, un sit-in con la violenza della sinistra? C’è qualcuno? Se c’è, me lo dicano, perché io non ne ho memoria. Può darsi che ci sia, ma deve essere stato un caso talmente raro che a me non sovviene”.

E ancora: “Oggi vediamo delle scimmiottature di quegli anni di violenza politica, ma le scimmiottature possono essere pericolose, anche se sono solo 10 invece di 1000. L’ho già detto a Porta a porta: in quegli anni a Belfast si sapeva che c’era la guerra civile, a Milano si faceva finta che non ci fosse. Era una guerra civile combattuta da 20mila contro 1000, anche se forse erano più di 20mila e meno di mille – continua, accusando nuovamente i giornali – E i milanesi fingevano di non vedere o forse non si accorgevano di quello che stava succedendo, a causa dei riflessi di stampa e di media, tutti a senso unico naturalmente”.

La Russa, che un’ora dopo parteciperà alla presentazione del libro dell’ex direttore di Repubblica Maurizio Molinari con Lorenzo Guerini del Pd, parla di “caccia al missino” e aggiunge: “Ora do materia ai giornalisti, così sono contenti: quando io non pronuncio la parola ‘antifascista’, è perché io non potrò mai essere accomunato a chi in quegli anni andava a prendere sotto casa un ragazzo. Non c’è unicità di antifascismo. Posso rispettare e rispetto i partigiani, che anzi a volte, nelle stesse proporzioni che ho appena detto, combattevano per un ideale, per la loro libertà o anche per la speranza della vittoria di un’ideologia ancora più totalitaria del fascismo, ma che a loro piaceva e per la quale speravano in un futuro migliore, cioè il comunismo – prosegue – Ma non potrò mai, né vorrò mai essere accomunato all’antifascismo militante di quegli anni. Sapete cosa era il ‘cucchino’ a Milano? Non significava ‘andare con una ragazza’, ma aspettare sotto casa e prendere, dieci contro uno, un militante di destra. Il cucchino fu praticato non solo da Potere Operaio e da Avanguardia operaia, ma principalmente dal Movimento Studentesco, che aveva la copertura totale“.

Il presidente del Senato sostiene anche le proporzioni tra terroristi neri e rossi sono diverse (“c’è anche lì dieci a mezzo, dieci a uno”) e si sofferma sulla figura di Sergio Ramelli: “Sergio ha avuto per noi un’influenza incredibile. Se lui era morto, potevamo noi deflettere immeritatamente in vita? Sergio Ramelli per tutta la militanza, da quegli anni poi – chiosa – è stato un punto di riferimento ineguagliabile. Giorgio Almirante mi disse di difendere la famiglia, senza costituirci come partito, anche se avremmo potuto parte civile. Ma non volevamo che fosse un processo di parte. Nel ricordarlo nel cinquantesimo anniversario, quindi, dobbiamo offrire il sacrificio di Sergio all’Italia. Non solo alla nostra parte politica, ma a tutta l’Italia, perché sia chiaro che la violenza politica va combattuta”.

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