Dopo Aleppo, cade anche Hama. I ribelli jihadisti, dopo aver accerchiato la città capoluogo dell’omonimo governatorato, sono riusciti a spezzare le linee di rifornimento dell’esercito regolare, costringerlo alla ritirata e, di conseguenza, entrare nel centro città. A confermare la presa del terzo centro urbano siriano da parte dei combattenti di Hayat Tahrir al-Sham è proprio Damasco che ha annunciato il ritiro dell’esercito dalla città con un comunicato del ministero della Difesa nel quale si spiega che le truppe sono state “dislocate fuori dalla città“: “Nelle ultime ore gruppi terroristici sono riusciti a sfondare diversi fronti della città e a entrarvi”.

Non sono dunque bastati i raid aerei russi e governativi che si sono abbattuti sulle truppe ribelli, in particolare sulla collina strategica di Zain al Abidin e vicino all’aeroporto militare. Le truppe islamiste, che godono di morale alto sia per le rapide e importanti conquiste territoriali sia per il video che nelle scorse ore ha mostrato il loro leader Abu Muhammad al-Julani ancora in vita dopo essere stato dato per morto, hanno resistito e sfondato l’ultima resistenza governativa. Gli insorti sono quindi entrati nel terzo centro centro città e, da quanto si apprende, hanno fatto irruzione nelle carceri dalle quali hanno liberato centinaia di detenuti.

Nel comunicato diffuso dalla Difesa siriana si cerca di motivare il ritiro delle truppe spiegando che la decisione è stata presa per “tutelare le vite dei civili ed evitare combattimenti in città”. Ma proprio i civili si trovano adesso in una situazione di confusione e incertezza per ciò che li attende nei prossimi giorni: “Siamo isolati e senza internet da ore, non sappiamo cosa succederà”, dicono. L’incertezza si trasforma in terrore se si pensa alle possibili ritorsioni da parte dei miliziani islamisti nei confronti della popolazione, una rappresaglia per il massacro di Hama del 1982, quando un’insurrezione guidata dalla Fratellanza Musulmana venne repressa nel sangue dalle forze del regime del padre dell’attuale presidente, Hafiz al-Assad, provocando oltre 35mila morti. Al-Julani ha però affermato che non ci sarà “alcuna vendetta”: “Chiedo a Dio onnipotente che sia una conquista senza vendetta”, ha detto Jolani in un messaggio video su Telegram dopo aver annunciato che i combattenti erano entrati ad Hama “per ripulire la ferita che dura da 40 anni in Siria”.

La preoccupazione per questa nuova escalation non riguarda, però, solo il presidente Assad. Mentre l’esercito russo, interessato a preservare la permanenza del dittatore alla guida della Siria per mantenere il controllo sui porti strategici di Latakia e Tartus, ha già messo a disposizione la propria aviazione per cercare di contenere l’avanzata ribelle, l’Iran, l’altro grande alleato degli Assad, ribadisce il “fermo sostegno” al leader siriano nella lotta contro i “gruppi terroristici”. Anche Hezbollah, dopo le titubanze iniziali, ha capito che la caduta di Assad non può essere un’opzione. Così il leader del Partito di Dio, Naim Qassem ha affermato che il gruppo libanese sarà al fianco di Damasco: “(I ribelli, ndr) non saranno in grado di raggiungere i loro obiettivi nonostante ciò che hanno fatto nei giorni scorsi. E noi come Hezbollah saremo al fianco della Siria per sventare gli obiettivi di questa aggressione il più possibile”. Secondo Qassem, “l’aggressione in Siria è orchestrata dagli Stati Uniti e da Israele“.

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