L’accusa è gravissima: “Era a disposizione del sodalizio”. Così suor Anna Donelli, religiosa apparsa anche in tv in alcune occasioni, è finita agli arresti domiciliari perché coinvolta in un’inchiesta di ‘ndrangheta. Secondo la Dda di Brescia, la suora – indagata per concorso esterno – era “a disposizione” della ‘locale’ attiva nella provincia di lombarda e garantiva “il collegamento con i sodali detenuti in carcere” agendo come intermediaria “approfittando dell’incarico spirituale che le consentiva di avere libero accesso alle strutture penitenziarie”.

In carcere, oltre al supporto spirituale e materiale, suor Anna – assistente negli istituti penitenziari di Milano e Brescia – avrebbe insomma veicolato messaggi e direttive della cosca Tripodi. In alcune intercettazioni i vertici della presunta associazione parlano della “monaca” e del suo ruolo. Nell’ordinanza del tribunale si riporta una conversazione in cui uno degli arrestati afferma che la suora, che lavora nell’istituto penitenziario, “è uno dei nostri” e ancora “se ti serve qualcosa dentro è dei nostri”.

Secondo i pm, si legge nel capo d’imputazione, suor Anna avrebbe messo “concorso nell’attività” dell’associazione “mettendo in modo continuativo a disposizione” il suo ruolo nelle carceri in favore dei capi Stefano e Francesco Tripodi. In particolare, ad avviso degli inquirenti, avrebbe “trasmesso ordini, direttive, aiuti morali e materiali” ai soggetti della cosca o contigui che erano detenuti. Non solo: riceveva dagli stessi “informazioni” per “meglio pianificare strategie criminali di reazione alle attività investigative delle forze dell’ordine” e avrebbe “favorito” lo scambio di informazioni e “risolto dissidi e conflitti tra i detenuti”. La religiosa e Tripodi, secondo le parole di quest’ultimo intercettate dagli investigatori, avrebbero avuto “un patto”.

E il giudice per le indagini preliminari è convinto che la religiosa non fosse inconsapevole di chi fossero i suoi interlocutori: era a conoscenza del potere dei Tripodi. La conferma si troverebbe quando in un dialogo con il capo della “locale” bresciana durante il quale spiega di aver tranquillizzato una nipote, vittima di un incidente stradale, spiegandole che ci avrebbero pensato i suoi amici. L’indagine è partita a settembre 2020 e ha riguardato l’operatività nel Bresciano della locale, legata alla ‘ndrangheta di Sant’Eufemia d’Aspromonte e “da rapporti federativi alla cosca Alvaro, egemone nella zona aspromontana compresa tra i comuni di Sinopoli e Sant’Eufemia d’Aspromonte”.

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