Alla fine al Torino Film Festival 2024 targato Giulio Base ha vinto il “glamùr”. Star statunitensi come se piovesse. Intere giornate zeppe di conferenze stampa con dive e divi. Hollywood sul Po, insomma. Anche se le celebrità erano a Torino per accompagnare Caccia a Ottobre rosso, la sera prima su Italia1 in seconda serata, l’andatura da festival di prima fascia (Venezia, Cannes, ecc..) è stata piacevole, stuzzicante e pure fisicamente impegnativa (con tutto il rispetto per minatori, rider&co). Poi chiaro il TFF così non era mai stato. C’è chi parla di tradizione, di storia, di senso di una programmazione e di una ricerca (vedi il documentario) che inevitabilmente sono stati messi di lato, se non proprio cancellati.
Quindi primissimo piano per Angelina Jolie (sala Ideal oggettivamente stracolma per il suo nuovo film in anteprima europea) e Alessandro Baricco, ma niente Lav Diaz (noi c’eravamo nel 2005 al Greenwich assieme a cinque spettatrici filippine per le sette ore di Evoluzione di una famiglia filippina). Titoli su Sarah Jessica Parker che mangia la bagna cauda di nascosto dietro la Mole, ma niente vetrina per il Premio Cipputi (pardon, quello l’avevano già cestinato e trasferito da tempo: capita). Solo che una cosa va scritta, prima di ogni altra. Non esiste una ricetta “giusta” per un festival di cinema (come per un buon film). O almeno non ne esiste una, di ricetta, che sia identica nei decenni che passano (pensate quando al Festival del Cinema di Porretta avvenne la prima italiana di Ultimo tango a Parigi…).
La direzione, la forma e il contenuto, che prende un festival di cinema è una scelta dettata dallo spirito del tempo, dalle opportunità culturali , dalle relazionali personali (per Torino leggasi Tiziana Rocca, moglie di Base, amica delle star e tuttofare festivaliera) e in Italia come non mai dal supporto politico, a destra come a sinistra (anche se poi sotto sotto non crediate ci sia chissà quale iato). Questo per dire che un direttore di festival è libero di fare ciò che vuole. Anche se le strade oggi, giocoforza, sono due: si imita Venezia, Cannes, Berlino, Toronto, ecc… con il red carpet e il richiamo in prima dei giornali, dei siti, dei social grazie ai divi; o si trova una propria nicchia, la si mantiene florida appunto nella ricerca di visioni, talenti, stili, tendenze (e nei finanziamenti pubblici perché altrimenti è hobby). Tertium, paradossalmente, non datur. Sempre che non si abbia un budget faraonico come la Biennale e, appunto, si trovi il regista di 007 pronto ad una settimana di vacanza che poi assegna il Leone d’Oro a un film di Lav Diaz.
Se al TFF di Base riuscirà questa azione duplice, questo testacoda alto/basso (nessuno si offenda), ben per lui e per noi. Per ora il red carpet sabaudo è lustrato a dovere, mentre la cinefilia (o cosa diavolo possa significare questo termine oggi) piange l’assenza di un film guardabile e/o significativo. Uno o due titoli, noi, li avremmo anche trovati, ma il confronto con gli anni passati è ovviamente impossibile. Infine, ci permettiamo un suggerimento al ministro della Cultura e un complimento agli amministratori locali piemontesi-torinesi che hanno fortemente voluto Base in direzione. Certo che se un baraccone di anteprime nazionali come la Festa di Roma ti porta quattro star spendendo ben otto milioni e rotti di euro, mentre il Torino Film Festival te ne porta 8 con un budget di due milioni e due, un pensierino tout court al risparmio o un riequilibrio delle risorse tra due manifestazioni a distanza di un mese ce lo farei. Magari con un milioncino in più al TFF tornano a proiettare Lav Diaz per cinque persone in sala.