Redditi calati del 7% negli ultimi 20 anni. Crollo degli investimenti esteri e sfiducia nella democrazia
La crisi del ceto medio che pesa anche sulla partecipazione al voto, le questioni identitarie che “tendono a sostituire le istanze delle classi sociali tradizionali”, le crescenti preoccupazioni per i flussi migratori e uno scenario internazionale che mai come in passato orientano la politica e il futuro dei cittadini. Poi ci sono la mancanza di conoscenze di base, che “rende i cittadini più disorientati e vulnerabili”, il divario sui servizi tra città e campagne – e relativo spopolamento delle aree interne – e l’aumento della spesa sanitaria privata pro-capite. E i redditi, che negli ultimi 210 anni sono calati del 7 per cento. È quanto rileva il Rapporto 2024 del Censis, presentato oggi, da cui emerge una società italiana turbata e in profondo cambiamento. Per il 49,6% dei nostri connazionali il futuro sarà condizionato dal cambiamento climatico e dagli eventi atmosferici catastrofici, ma anche per il 46% dagli esiti della guerra in Medio Oriente e dal rischio (45,7%) di crisi economiche e finanziarie globali. Per il 71,4% degli italiani, poi, l’Unione europea è destinata a sfasciarsi, senza riforme radicali e oltre il 68% ritiene che le democrazie liberali non funzionino più, mentre sul fronte welfare nel periodo 2013-2023 si è registrato un balzo in avanti del 23% in termini reali della spesa sanitaria privata pro-capite, pari nell’ultimo anno ad oltre 44 miliardi di euro. Crollano inoltre i flussi in entrata degli investimenti esteri, evidenziando una debolezza del Paese nella capacità di sfruttare la leva degli investimenti esteri per rafforzare il sistema produttivo.
Calo dei redditi – Negli ultimi vent’anni (2003-2023) il reddito disponibile lordo pro-capite si è ridotto in termini reali del 7,0%. Nell’ultimo decennio (tra il secondo trimestre del 2014 e il secondo trimestre del 2024) anche la ricchezza netta pro-capite è diminuita del 5,5%. E l’85,5% degli italiani ormai è convinto che sia molto difficile salire nella scala sociale. Il rapporto parla di una “sindrome italiana”, che riassume nella “continuità nella medietà“, un sorta di “galleggiamento” in cui la società italiana è intrappolata. Il rapporto rileva come “la spinta propulsiva verso l’accrescimento del benessere si è smorzata”. Nel ventennio 1963-1983 il valore del Pil, espresso in euro attuali, era raddoppiato, crescendo complessivamente di 731 miliardi di euro (+117,1%); nei successivi ventanni, tra il 1983 e il 2003, l’incremento si era ridimensionato a 656 miliardi di euro (+48,4%); ma negli ultimi due decenni, tra il 2003 e il 2023, l’aumento è stato solo di 117 miliardi di euro (+5,8%). Negli intervalli di tempo considerati, il Pil pro-capite era aumentato di quasi 12mila euro tra il 1963 e il 1983 (+96,7%), di oltre 11mila euro tra il 1983 e il 2003 (+46,2%), di poco più di mille euro tra il 2003 e il 2023 (+3,0%).
Italia al primo posto in Europa per quantità di cittadinanze concesse – Poi il capitolo migranti e le preoccupazioni legate ai flussi di stranieri in ingresso: “Le questioni identitarie tendono a sostituire le istanze delle classi sociali tradizionali e assumono una centralità inedita nella dialettica socio-politica”. Tant’è che “il 57,4% degli italiani si sente minacciato da chi vuole radicare nel nostro Paese regole e abitudini contrastanti con lo stile di vita italiano consolidato, come ad esempio la separazione di uomini e donne negli spazi pubblici o il velo integrale islamico“. Ma non basta, c’è anche un 38,3% di nostri connazionali che si sente minacciato da chi vuole facilitare l’ingresso nel Paese dei migranti; e un 29,3% vede come un nemico chi è portatore di una concezione della famiglia divergente da quella tradizionale. Si tratta, a detta degli autori dello studio, di differenze che possono trasformarsi “in fratture e potrebbero degenerare in un aperto conflitto”. Allo stesso modo, si sottolinea, il 29,3% degli italiani “vede come un nemico chi è portatore di una concezione della famiglia divergente da quella tradizionale”. Tuttavia “negli ultimi dieci anni sono stati integrati quasi 1,5 milioni di nuovi cittadini italiani, che prima erano stranieri”. E in questo può sorprendere constatare che l’Italia si collochi al primo posto tra tutti i Paesi Ue per quantità di cittadinanze concesse (213.567 nel 2023). Con un numero molto più alto delle circa 181mila acquisizioni in Spagna, delle 166mila in Germania, delle 114mila in Francia e delle 92mila in Svezia. Poi, viene ricordato, le cittadinanze nel 2022 ammontavano al 21,6% di tutte quelle registrate nei Paesi Ue (circa 1 milione); e il nostro Paese è primo anche per il totale cumulato nell’ultimo decennio (+112,2% tra il 2013 e il 2022).
Aumento sanità privata pro-capite – Negli ultimi dieci anni, tra il 2013 e il 2023, si è registrato un balzo del 23% in termini reali della spesa sanitaria privata pro-capite, che nell’ultimo anno ha superato complessivamente i 44 miliardi di euro. Inoltre, al 62,1% degli italiani è capitato almeno una volta di dover rinviare un check up medico, accertamenti diagnostici o visite specialistiche perché la lista di attesa negli ambulatori del Servizio sanitario nazionale era troppo lunga e il costo da sostenere nelle strutture private era considerato troppo alto. Al 53,8% è capitato, in presenza di problemi di salute, di dover fare ricorso ai propri risparmi per pagare le prestazioni sanitarie necessarie. E il 78,5% dichiara che, in caso di problemi di salute, teme di non poter contare sulla sanità pubblica.
Scuola – In tema di istruzione, o quella che viene definita ‘la fabbrica degli ignoranti’, emerge che la mancanza di conoscenze di base “rende i cittadini più disorientati e vulnerabili”. In termini di apprendimento non raggiungerebbe l’auspicato traguardo per la lingua italiana il 24,5% degli alunni al termine del ciclo di scuola primaria, il 39,9% al terzo anno della scuola media e il 43,5% all’ultimo anno della scuola superiore (dato che negli istituti professionali sale vertiginosamente all’80%). Benché gli analfabeti propriamente detti siano ormai una esigua minoranza (solo 260mila), mentre i laureati sono aumentati fino a 8,4 milioni (il 18,4% della popolazione con almeno 25 anni, erano il 13,3% nel 2011), la mancanza di conoscenze di base rende i cittadini più disorientati e vulnerabili. Non raggiungono i traguardi di apprendimento: in italiano, il 24,5% degli alunni al termine del ciclo di scuola primaria, il 39,9% al terzo anno della scuola media, il 43,5% all’ultimo anno della scuola superiore (negli istituti professionali quest’ultimo dato sale vertiginosamente all’80,0%); in matematica, il 31,8% alle primarie, il 44,0% alle medie inferiori e il 47,5% alle superiori (anche in questo caso il picco si registra negli istituti professionali con l’81,0%). E sono frequenti strafalcioni e “buchi di conoscenza” in tutte le fasce di età. Ad esempio, il 55,2% degli italiani risponde in modo errato o non sa che Mussolini è stato destituito e arrestato nel 1943, il 30,3% (in questo caso il dato sale al 55,1% tra i giovani) non sa dire correttamente chi era Giuseppe Mazzini (per il 19,3% è stato un politico della prima Repubblica), il 30,3% non conosce l’anno dell’Unità d’Italia, il 28,8% ignora quando è entrata in vigore la Costituzione.
Spopolamento aree interne – Sotto la lente anche il “divorzio” tra città e campagne, soprattutto sotto il profilo dei servizi (pubblici e privati): se in media in Italia le famiglie hanno difficoltà a raggiungere una farmacia (13,8%, pari a 3,6 milioni) o per accedere a un Pronto soccorso (50,8%, circa 13 milioni), nel caso dei comuni fino a 2mila abitanti le difficoltà riguardano rispettivamente il 19,8 e il 68,6% dei nuclei familiari. “Nelle aree interne del Paese oggi vivono 13,3 milioni di persone, più di un italiano su cinque (il 22,6%). Sono circa 800mila in meno rispetto al 2014: in un decennio la riduzione è stata del 5,0%, più della media nazionale (-2,2%)”. “La gravità dello spopolamento di questi territori è evidenziata dalle proiezioni demografiche – si legge – Tra dieci anni, mentre la popolazione italiana complessiva subirà una riduzione dell’1,4%, le aree interne vedranno ridurre la propria popolazione del 3,8%. Fra vent’anni il declino demografico delle aree interne sfiorerà i 9 punti percentuali, portando a 12,2 milioni la popolazione residente”.
Denatalità – Uno degli effetti nascosti della denatalità sarà un imponente passaggio intergenerazionale di ricchezza: il numero degli eredi si riduce, quindi in prospettiva le eredità si concentrano. Per il Censis, in futuro il valore dei patrimoni familiari è destinato a concentrarsi in gruppi più ristretti della popolazione per effetto della deriva demografica di lungo periodo. Il 2008 è stato lanno dopo il quale è iniziata una fase di riduzione del numero dei nati senza interruzioni anno dopo anno. Rispetto ad allora, nel 2023 abbiamo registrato circa 200mila nascite annue in meno (-34,1% in quindici anni). “Il processo di denatalità è destinato inesorabilmente a perpetuarsi anche qualora si riuscisse miracolosamente a invertire la traiettoria declinante del tasso di fecondità. Di conseguenza, il calo demografico determinerà un incremento della quota pro-capite delle future eredità, diminuendo in prospettiva la numerosità dei millenial e degli zoomer futuri percettori”, sottolinea.
Bologna prima per la transizione ambientale – Al primo posto il capoluogo emiliano, seguito da Firenze e Torino. Il Green&Blue Index, elaborato dal Censis sintetizzando 26 indicatori, misura il passo della transizione ecologica: “Con un punteggio di 80,3 su 100, Bologna si classifica prima città metropolitana nella transizione ambientale, seguita da Firenze (80,0 punti) e Torino (79,4). Tra le province con più di 500mila abitanti è Bolzano a ottenere il punteggio maggiore (82,0), seguita da Trento (81,4) e Vicenza (80,1)”. Sempre secondo l’analisi del Censis, “tra le province tra 300mila e 500mila abitanti è Pordenone a ottenere il punteggio più alto (81,3), seguita da Potenza (81,2) e Lecco (80,7). Tra le province con meno di 300mila abitanti è Benevento la prima classificata (80,0), seguita da La Spezia (79,9) e a pari merito Siena e Belluno (79,6)”.
Crisi della democrazia – Per il 71,4% degli italiani l’Unione europea è destinata a sfasciarsi, senza riforme radicali. Il tasso di astensione alle ultime elezioni europee ha segnato un record nella storia repubblicana: il 51,7% (alle prime elezioni dirette del Parlamento europeo, nel 1979, l’astensionismo si fermò al 14,3%). Per il Censis, c’è una sfiducia crescente nei sistemi democratici, dal momento che l’84,4% degli italiani è convinto che ormai i politici pensino solo a sé stessi. Il 68,5% ritiene che le democrazie liberali non funzionino più, rileva il Rapporto, che sottolinea come “all’erosione dei percorsi di ascesa economica e sociale del ceto medio si sta accompagnando la messa in discussione dei grandi valori unificanti del passato modello di sviluppo” come “il valore irrinunciabile della democrazia e della partecipazione, il conveniente europeismo, il convinto atlantismo”. Il 66,3% attribuisce all’Occidente – Usa in testa – la colpa dei conflitti in corso in Ucraina e in Medio Oriente. Solo il 31,6% si dice d’accordo con il richiamo della Nato sull’aumento delle spese militari fino al 2% del Pil.
Crollo degli investimenti esteri – Per l’Italia i flussi in entrata degli investimenti esteri hanno superato di poco gli 8 miliardi di euro nel primo semestre di quest’anno, ma nello stesso periodo dell’anno precedente il valore era quasi tre volte superiore (21,8 miliardi). I flussi in uscita sono stati pari a 11,3 miliardi e hanno determinato un saldo negativo di poco inferiore a 3 miliardi, evidenziando una debolezza del Paese nella capacità di sfruttare la leva degli investimenti esteri per rafforzare il sistema produttivo.