C’è un pubblico di lettori di Michela Murgia – non parlo di coloro che la seguivano passo passo nelle sue pubblicazioni – che ignora sostanzialmente il vissuto cattolico di questa voce intellettuale così forte e libera da essere al di sopra di tutte le righe. Ma questo aspetto non è un dettaglio nella biografia di questa protagonista della cultura italiana, morta coraggiosamente di cancro a 51 anni. Perché al contrario è un segnale rivelatore della ricchezza e della vitalità di quel cattolicesimo sotterraneo, spesso periferico, che vive parallelamente alla crisi che investe il cattolicesimo ufficiale al pari di molte altre confessioni istituzionali.
Murgia periferica non era, tutt’altro, ma la sua forza è consistita anche nella capacità di trasfondere nella sua pubblica militanza culturale le esperienze di tante donne che nelle periferie esistenziali (direbbe papa Francesco) hanno conosciuto il cambiamento continuo di lavoro, la religiosità popolare, l’incombere del maschilismo patriarcale, l’associazionismo cattolico, il dibattito femminista, la riflessione teologica in proprio.
Il libro che le dedica Marinella Perroni, Colloqui non più possibili (ed. Piemme), apre uno squarcio su questo mondo di Murgia. Un libro radicato in una lunga amicizia e soprattutto in un dialogo personale continuato per anni su fede, storia, femminismo, società. Alimentato dalla convinzione che la morte non può interrompere un rapporto.
Marinella Perroni è teologa e femminista, fondatrice del Coordinamento teologhe italiane, già docente di Nuovo Testamento al pontificio ateneo Sant’Anselmo. E soprattutto ha un temperamento intellettuale passionale come Michela Murgia. Ama il profumo Poison di Dior e gioisce quando in qualche chiesa tedesca vede le chierichette o le lettrici con il rossetto sulle labbra. Perché va archiviato nella Chiesa tutto ciò che per millenni ha oppresso e represso le donne.
Nel libro ricorda un suo colloquio con Murgia su Elisa Solari, studiosa di teologia del primo Novecento, marchiata dall’allora vescovo di Vicenza e da quello di Cremona come una “povera testolina, presa dalla smania di fare la teologhessa…”. A volte serve curiosare tra gli archivi per toccare con mano la stupidità prepotente delle gerarchie. Michela Murgia si definiva tenacemente “cattolica” e non genericamente cristiana. Perché, ha spiegato, il “mio incontro con Dio è un incontro nella storia e non fuori dalla storia. Tutto quello che ho fatto nella vita, l’ho fatto nella convinzione di stare dentro il progetto di Dio”.
Dio non è cattolico, come affermava il cardinale Martini e come ha ribadito papa Francesco, ma un cammino di fede va vissuto in una comunità. Altrimenti diventa un sentimento individuale generico, una sorta di placebo. E’ questo un tema bruciante in una fase storica in cui le giovani generazioni tendono a scindere il loro eventuale bisogno di Dio e del sacro da un legame con quelle istituzioni che storicamente hanno traghettato attraverso i secoli l’immagine del divino e i suoi dettami. E va soggiunto che la stessa scissione si verifica anche in quelle chiese cristiane (luterani, riformati, anglicani) che si sono spinte più avanti sulla via della modernità.
Perroni innesta anche un’altra riflessione: il declino parallelo di religione e politica. Si potrebbe aggiungere, più crudamente, persino il declino parallelo dell’attrezzatura culturale e della capacità di visione dei quadri partitici ed ecclesiastici. Non è una forzatura. Da più parti studiosi di varie discipline, dai sociologi ai teologi, hanno rilevato il tramonto del senso del “Noi”, della comunità, dell’impresa collettiva. Il risultato sembra essere un apparente spirito libertario ma nella disperazione del quotidiano la folla priva di uno stare insieme si rivolge ormai sempre più spesso all’attesa di un “Salvatore”.
God save the Queer è un’opera di Murgia spesso citata nel dialogo immaginario con Perroni. Voleva essere un catechismo femminista. Uno stimolo a far capire quanto in profondità debba andare il rinnovamento della Chiesa a fronte della rivoluzione femminista. Queer è una parola inglese bellissima, significa strano, bizzarro, eccentrico. Un impulso ad abbracciare la diversità. (Detto per inciso, una parola distante dalla triste sigla tribalizzante Lgbtqia, così ossessiva nel suo totalitarismo).
Perroni collega questa apertura al diverso ad un concetto fondamentale per Michela Murgia: stare sulla soglia. Ma non come luogo di transito, bensì come postura di attenzione alle molteplici identità esistenti. Il confronto libero e non addomesticato con la Bibbia e la “parola di Dio” in questo percorso è fondamentale. Murgia è stata insegnante di religione e non lo ha mai dimenticato. La Chiesa, sosteneva, deve ancora fare passi da gigante, ma ci si può stare dentro e fare in modo che il passo sia più veloce. E questo sforzo implica anche saper “perdonare alla Chiesa il fatto di non essere all’altezza della parola di Dio soprattutto in relazione alle donne”.