Con le sue indagini ha scoperchiato fior di truffe, ha complicato la vita alla mafia cinese, rivelato lo scandalo delle mascherine cinesi farlocche che finivano negli ospedali, nelle Rsa e alle Forze di Polizia. Di più, ha rifiutato una tangente da 5 milioni di euro facendo arrestare i suoi corruttori. E per tutta risposta Miguel Martina, classe 1961, funzionario delle dogane oggi in pensione con questo stato di servizio, veniva mobbizzato e perseguitato dalla sua amministrazione d’appartenenza, come fosse il peggiore dei criminali.
Una condotta per la quale oggi il Tribunale del Lavoro di Roma ha emesso una sentenza di condanna dell’Inail a risarcirlo proprio per le condotte vessatorie poste in essere dal 2020 dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, diretta da Roberto Alesse. Il trattamento riservato a Martina gli ha impedito le progressioni di carriera interna, il concorso a dirigente, lo ha costretto alla pensione anticipata per malattia. E la sentenza di oggi acclara che di “malattia professionale” si tratta: la stessa commissione medica di valutazione dell’Inps a marzo 2024 ha ritenuto il Martina “non più idoneo al servizio attivo nelle Dogane” a causa delle “patologie determinate dalle condotte poste in essere dal datore di lavoro”, come certificato anche dal Centro Antimobbing di Pisa.
L’incubo per Martina era iniziato proprio quando aveva rivolto la sua attenzione all’interno dell’amministrazione d’appartenenza. Fece clamore nel 2019 il suo rifiutato di una tangente da 5 milioni di euro che portò all’arresto di Enzo Cesarini e Ciro Laurenza, che hanno poi patteggiato la pena. Sulla scorta di questa indagine, a settembre 2019 aveva ricevuto delega dal magistrato Antonio Clemente ad indagare riservatamente su funzionari e dirigenti interni all’Agenzia delle Dogane con ipotesi di corruzione: dagli audio ricavati prima degli arresti i due corruttori avevano riferito infatti che molti funzionari erano “a loro libro paga”.
Nel 2020 parte la pandemia e viene incaricato dal direttore regionale Gianfranco Brosco di verificare le importazioni del materiale sanitario, in particolare i dispositivi di protezione individuale cioè le mascherine. Si accorge che tutte, compreso la maggioranza di quello destinato alla Protezione Civile e alla stessa struttura commissariale per l’emergenza erano “inidonee e falsamente certificate” e tuttavia venivano sdoganate lo stesso e mandate agli ospedali e alle case di riposo infestati dal Covid.
Martina informa insieme Nas e Procura della Repubblica di Roma. Informa poi i vertici dell’Agenzia al fine di comunicare al governo quanto emerso dalle sue indagini. Ecco, dal giorno dopo inizia a subire mobbing: viene privato degli accessi informatici e poi denunciato per “accesso abusivo”, ben sapendo che li utilizzava su delega della Procura, come poi accertato dall’inchiesta che ha archiviato la sua posizione e contestualmente indagato per calunnia chi falsamente lo aveva accusato.
Nel frattempo veniva demansionato, trasferito e sottoposto a ben tre procedimenti disciplinari, anche su false dichiarazioni di funzionari poi puntualmente promossi dirigenti. Il quarto era finalizzato al licenziamento in tronco proprio sulla questione che tira in ballo l’Inail e la sentenza di oggi.
Nel 2023 infatti gli viene contestato di non aver comunicato all’amministrazione – come emerge dalle carte processuali della sentenza – una inesistente notifica dell’Inail di rigetto della malattia, quando dagli accertamenti è risultato pacifico che la prima comunicazione di rigetto era avvenuta a febbraio 2023 e comunicata anche all’Amministrazione. La sentenza chiarisce il comportamento cristallino del Martina e la circostanza che le ritorsioni sono “attuali” anche dopo il suo pensionamento.
Di tale vicenda è stata informata l’Anac che, dopo aver aperto una procedura di contestazione a quattro dirigenti dell’Agenzia, “ha lasciato cadere nel vuoto, nonostante l’Autorità Anticorruzione abbia le medesime carte delle Procure e del giudice del lavoro, con ciò mancando le tutele previste in difesa del whistleblower”.
In tutto questo, senza attendere l’esito della sentenza di oggi, l’Agenzia ha ripetutamente chiesto all’ex dipendente di restituire “indebite percezioni stipendiali”, bloccandogli lo stipendio per otto mesi e sottraendogli direttamente (senza possibilità di impugnare il provvedimento) altri 30mila euro di ferie non godute, liquidazione, mancato preavviso; bloccando tra l’altro il Tfr dell’Inps e il fondo di categoria presso il Mef e la liquidazione assicurativa, superando di ben otto volte quanto previsto per legge, cioè il famoso quinto dello stipendio.
La sentenza dispone che Inail liquidi al Martina, in base alla riconosciuta invalidità, tutto quello che gli è stato tolto e tutto quello che non gli è stato dato. Ma al tempo stesso è la premessa per la verifica delle responsabilità interne all’amministrazione doganale. “Le responsabilità singole – si limita a dire Martina – saranno eventualmente valutate nei separati giudizi. Ho fiducia che l’Amministrazione saprà fare pulizia al proprio interno”.