Pensieri in libertà (con libertà di pensiero) sulla settimana NBA
Jokic MVP, i Nuggets no
Non finisce mai di stupire, Nikola Jokic. Con quel talento, impossibile non farlo. Sta viaggiando a una tripla-doppia di media (30,1 punti, 10,4 assist, 13 rimbalzi). Ha appena superato Magic Johnson tra i migliori di sempre in questa classifica. È il terzo della storia, dietro al suo compagno Russell Westbrook e Oscar Robertson. È ormai definitivamente un futuro Hall of Famer. Se prende posizione in post-basso, potete già immaginare la palla scorrere in fondo alla retina. Una tecnica individuale da far invidia perfino a Charles Barkley, ai tempi un autentico sciamano in materia. Difficile fermare il centro dei Nuggets spalle a canestro, perché sente i movimenti del difensore con la schiena e utilizza il giro sul perno in base alla reazione e all’angolo che gli viene concesso. Poi, ovvio, con le mani che si ritrova, ha l’imbarazzo della scelta in quanto a conclusioni: arcobaleno, semigancio, appoggio, tiro in traffico, apertura sul perimetro. Attualmente, trattasi del miglior giocatore al mondo. Nonché uno dei tiratori da fuori più precisi della Nba, con il 52,2%. Per l’esattezza, Jokic è al secondo posto in stagione. Da togliere il fiato, se si pensa a quanto sia dominante in avvicinamento. In tutto ciò, che dire dei Nuggets? Così così, non proprio benissimo. La squadra bazzica all’ottavo posto a Ovest. Altro che schiacciasassi. Stanno pagando una panchina di basso livello, conseguenza della perdita negli anni di giocatori solidi come Kentavious Caldwell-Pope e Bruce Brown. Da mettere in conto anche la discontinuità di Jamal Murray, lontano dai fasti della stagione in cui vinsero il titolo (da tre sta tirando con appena il 33%…). Aggiungete il lungo infortunio di Gordon, la difesa claudicante e le decisioni palla in mano poco sagge di Westbrook, ma anche un Michael Porter jr che non ha le spalle abbastanza larghe per pesare di più nell’attacco di Denver. Rimandati.
LaMelo Ball sa anche vincere?
Può essere inserito nel novero dei giocatori più spettacolari del momento. Palla in mano, fa e disfa a piacimento. Tratta la sfera come uno yo-yo, cambia direzione tra le gambe in stile Harold Miner ai tempi del college (USC), serve i passaggi in no-look con la stessa verve imprevedibile di Jason Kidd. Ha una sinistra tendenza a ricercare l’azione a effetto anche sottopressione. Gioca con tanta fiducia, sembra divertirsi, non ha paura di osare. Tutto ciò, in verità, lo porta spesso a selezionare male i tiri. Le cifre in stagione di LaMelo Ball sono impressionanti. Segna oltre 31 punti di media con quasi 7 assist. La percentuale da tre di poco sopra il 35%, tuttavia, paga l’alto volume di tiri che scocca a ogni gara (più di 13…). Ma la vera domanda è: sa anche vincere il più talentuoso dei fratelli Ball? Al momento, i numeri dicono di no, visto che gli Charlotte Hornets sono tredicesimi a Est. E non è che nelle passate stagioni ci fossero ragionevoli prospettive di lottare per risultati prestigiosi. Di certo, il roster è quello che è, sembrano in perenne ricostruzione. Ecco, probabilmente il futuro di LaMelo Ball sarà quello di dover dimostrare di poter essere un condottiero in grado di far viaggiare la squadra stabilmente sopra il 50% di vittorie, aspirare quantomeno ai playoff, essere non solo “bello” da vedere. Alla fine, conta solo quello, vero Dominique Wilkins?
Payton Pritchard, spaventosa solidità
Qualcuno ricorda per caso Scott Skiles? Nella prima metà degli anni ’90, era il playmaker che guidava gli appena nati Orlando Magic con una grinta, una durezza, una padronanza del campo insospettabile, per essere alto appena 1.85 e avere un atletismo sotto la media. Poi, arrivò un certo Penny Hardaway e lui cambiò aria. Normale. Lasciò, però, un ricordo indelebile nella mente dei tifosi. Pritchard di Boston è tanto simile a Skiles per postura in campo e solidità mentale. Molto meno passatore dell’allora play dei Magic, ma stessa chiarezza di idee quando entra in campo, stessa determinazione, stesse non esuberanti caratteristiche fisiche cui sopperire con altro. Payton Pritchard è il valore aggiunto della panchina dei Celtics. Senza dubbio. Sta giocando il miglior basket da quando è entrato nella Nba (ventiseiesima scelta di Boston nel 2020). Mette a referto 16,5 punti di media. È precisissimo da tre col 42%. Vedergli sbagliare un libero è occasione più unica che rara (87,5%). Alto 1.88, l’ex giocatore di Oregon non ha problemi di sorta a ricevere sul perimetro e metterla da fuori con l’uomo appiccicato faccia a faccia. Come ha fatto contro Marcus Sasser, in settimana, nella vittoria contro i Detroit Pistons, in cui ha segnato 19 punti con 5-13 da oltre l’arco. In generale, Pritchard non si risparmia mai in difesa nemmeno contro gente a cui rende 10 centimetri (ha ottima mobilità laterale e ha fisico solido nonostante l’altezza), è ordinato, può guidare una transizione, ma anche giocare in appoggio al portatore primario. Questo per dire che per stare ai vertici, non bastano solo i vari Tatum, Brown o Porzingis. Sono i giocatori come lui a fare della Nba la Nba.
That’s all Folks!
Alla prossima settimana.