L’improvvisa offensiva sulle città di Aleppo e di Hama da parte di una serie di formazioni ribelli siriane ha colto di sorpresa gli osservatori del contesto regionale. La tempistica e le modalità con cui sono avanzate queste formazioni – che mentre scriviamo hanno preso il controllo dell’intera città settentrionale siriana, al suo aeroporto internazionale civile e al terzo centro urbano del Paese – hanno sin da subito dato il via a numerose e diverse riflessioni vista la quasi concomitanza con l’annuncio di un cessate il fuoco in Libano tra Hezbollah – impegnato a combattere questi gruppi in territorio siriano tra il 2013 e il 2018 – e Israele, che nel corso della recente intensificazione dei bombardamenti su obiettivi legati alla stessa Hezbollah e ai Pasdaran iraniani ha colpito diverse volte anche in Siria, membro formale del cosiddetto Asse della Resistenza a guida iraniana.
I ribelli di Hayat Tahrir Al Sham hanno probabilmente atteso a lungo prima di pianificare questa operazione, decidendo per un’offensiva nei giorni in cui hanno ritenuto che Hezbollah e gli stessi iraniani – fortemente indeboliti dalle operazioni israeliane e ancora impegnati in Libano – non fossero in grado di aprire un altro fronte di guerra correndo nuovamente in soccorso del regime di Bashar al-Assad. Ciò pare anche più realistico se si considera che fonti locali riferiscono di come le forze a difesa della città, costituite da governativi siriani ma anche da personale iraniano e russo, l’abbiano abbandonata nelle prime ore dell’offensiva, in una dinamica simile a quella con cui l’Esercito iracheno fuggì di fronte all’avanzata dell’Isis su Mosul nel 2014, prima che le stesse milizie filo iraniane e i peshmerga curdi ne riprendessero il controllo. Il risultato, inedito, è che al momento, per la prima volta da quando la dinastia degli Al Assad è al potere, ossia dal 1971, la città di Aleppo è del tutto fuori dal suo controllo.
È difficile prevedere gli sviluppi futuri, ma anche quelli imminenti. Anche al di là delle dichiarazioni del ministro degli Esteri turco, Hakan Fidan, che ha affermato come Ankara – che sostiene da anni una serie di gruppi ribelli stanziati nel nord della Siria, in particolare nella provincia di Idlib – non abbia “preso parte a questa operazione”, sono diversi gli analisti convinti che la Turchia in primis sia rimasta sorpresa dal successo di questa avanzata che non credeva potesse portare alla presa di Aleppo in 24 ore. È anche improbabile, vista la priorità assoluta che Ankara accorda alla questione delle formazioni curde nel nord della Siria, che la Turchia sia disposta rischiare un nuovo esodo di rifugiati siriani verso il suo territorio in caso di un conflitto aperto sulla città ed i suoi dintorni.
L’aviazione russa, intanto, ha già iniziato a colpire l’ovest di quello che era il primo distretto industriale del Paese, provocando diverse vittime, ma non è chiaro fino a che punto voglia spingersi – soprattutto in questa fase della guerra in Ucraina – per garantire la sopravvivenza di Al Assad. Il cui destino dipende, ormai, interamente da Mosca, se è vero che il presidente siriano, oltre a non comparire in pubblico da qualche tempo e a non aver commentato i fatti dei giorni scorsi, sarebbe volato a Mosca nelle prime ore dell’offensiva – quando si era peraltro diffusa la voce di scontri a Damasco tra la quarta divisione dell’Esercito siriano, guidata da Maher, fratello di Bashar, e alcuni battaglioni che defezionavano – per poi fare ritorno nella capitale in giornata, ricevendo anche il ministro degli Esteri iraniano.
Risulta forse paradossale, ma l’integrità stessa della Siria, la centralizzazione del suo potere e ovviamente la presenza di un governo “amico” sono questioni che ormai interessano più Paesi come l’Iran che non la Siria stessa. E forse ancor meno gli Stati Uniti se si considera l’imminente secondo mandato di Trump. Più complessa la questione per Israele: se Al Assad è formalmente un nemico in quanto parte dell’Asse della Resistenza, è anche vero che Tel Aviv in diverse occasioni ha ammesso di avere con Al Assad un problema relativo, visto il suo sostanziale immobilismo militare nei confronti dello Stato ebraico.
Ovviamente, per Tel Aviv Al Assad è un problema nella misura in cui permette la presenza degli iraniani entro i propri confini e tra le speculazioni al momento più calde c’è certamente anche quella secondo cui Tel Aviv stia provando a spingere verso un riassetto della Siria che escluda i pasdaran, magari in cambio di una sopravvivenza di Al Assad, sempre garantita dai russi. Al di là delle speculazioni e delle citate alleanze a geometria variabile, è assai improbabile che Israele sia disposta o veda di buon occhio l’ascesa di un regime islamista in Siria, con tutte le variabili ignote che si porta dietro.
L’Iran è preoccupata di mantenere intatta e percorribile la direttrice, il corridoio che unisce Teheran a Beirut, passando appunto per Iraq e Siria, e soprattutto che non ci sia a Damasco un governo ostile a Teheran, peggio ancora se influenzato da formazioni takfirite, cioè sostanzialmente ostili ai musulmani sciiti in quanto tali. Per l’Iran, alcuni aspetti della sovranità minima della Siria e dell’Iraq hanno a che fare con questioni esistenziali o percepite come tali.
Sembra d’altronde evidente, già dagli anni degli accordi che portarono al trasferimento di formazioni ribelli nella provincia di Idlib, che la famiglia Al Assad sia preoccupata di sopravvivere e di farlo in quel sub-quadrante di cosiddetta “Siria utile” che va da Damasco alla costa di Tartous e Latakia, fino a Hama, verso nord. Che però è appena passata in mano ai ribelli: secondo gli esperti la sua presa potrebbe inclinare di molto il piano, rendendo assai possibile il crollo del regime.
I russi, da parte loro, hanno un’unica priorità: mantenere le proprie basi militari a Tartous e Latakia, ed in linea generale mantenere quello che per loro è l’unico accesso indipendente – l’altro dipende molto di più dalla volontà turca, che è labile – ai mari del sud. Per Mosca, Al Assad non è importante in quanto tale, e sarebbe eventualmente sostituibile con chi possa assicurare condizioni simili per i russi, mentre per l’Iran un contatto nella famiglia Al Assad – che può essere anche il citato fratello Maher, secondo molti particolarmente vicino a Teheran – appare più importante, alla luce della connessione e alla gestione dei canali e dei rapporti con Hezbollah.