Poco più di vent’anni, e una serata da passare alla Primina del Teatro alla Scala. Non una cosa che capita tutti i giorni, non una cosa “da giovani”, verrebbe da dire. E invece per La Forza del destino di Giuseppe Verdi, i giovani c’erano ed erano tanti. L’opera, pur mantenendo la sua anima classica, è stata riadattata per dialogare con il nostro presente. Una versione suddivisa in quattro atti che ci accompagna dal 1700 fino ai giorni nostri e una scelta registica che non solo sottolinea l’universalità del conflitto e della tragedia umana, ma che sembra anche un monito attualissimo sul dramma della guerra. La serata ha preso vita nella magica atmosfera della Scala: giovani emozionati, abiti eleganti, e quegli spazi imponenti che ti lasciano senza fiato ancor prima che il sipario si alzi. Poi, l’opera ha fatto il resto.
A catturare il pubblico senza concedere distrazioni ci ha pensato il primo atto, con l’introduzione dei protagonisti, uniti da un amore impossibile e travolti da un destino implacabile. Il loro dramma si concretizza nell’uccisione involontaria del padre di lei da parte dell’amante Alvaro e nella fuga disperata. La scelta di accorpare i primi due atti ha regalato ritmo e scorrevolezza. Il terzo atto è stato forse il più complesso da seguire, il meno incisivo, nonostante il forte effetto della scoperta di un segreto (che è uno snodo potente in ogni narrazione).
L’ultimo atto è un crescendo emozionante: ambientato in un presente devastato da conflitti, evoca inevitabilmente i principali teatri attuali di guerra quali Gaza, Ucraina e Libano. Le immagini di città distrutte, profughi aiutati dalla Croce Rossa e la trasformazione di Donna Leonora in una figura quasi mistica, una Beatrice dantesca, colpiscono nel profondo. Il messaggio è chiaro: i violenti desideri di vendetta famigliari connessi al destino particolare della coppia di amanti impossibili si amplifica nella tragedia universale della guerra senza tempo, riflesso del dramma di focolare quale forma primigenia di tutti i conflitti.
Fin qui, speriamo di aver fornito una sorta di libretto alternativo a chi vedrà la Prima, con il punto di vista di, a poco più di vent’anni, siede in quelle poltroncine così ambite. Ma come ha reagito il pubblico dopo la Primina? Non si può dire che gli spettatori siano rimasti senza fiato. Con me c’erano dei miei amici, coetanei o giù di lì: c’è chi è rimasto completamente rapito e chi, invece, ha mosso qualche critica. Una mia amica, alla sua prima esperienza con un’opera lirica, ne è uscita profondamente colpita: “La potenza della musica di Verdi, con la sua drammaticità e i temi universali del destino e della vendetta, è stata magistralmente interpretata. Le voci degli interpreti e la direzione dell’orchestra hanno saputo trasmettere tutta la forza e la tensione del dramma, creando un’esperienza immersiva e coinvolgente”. Altri, invece, pur trovandola visivamente affascinante, hanno sottolineato una certa confusione nella narrazione e la sensazione che alcuni interpreti non abbiano dato il massimo. Con chi sono d’accordo? La performance di Leonora di Netrebko credo si sia distint per la sua intensità emotiva, così come il finale, con Don Alvaro che rimane solo tra le macerie, mentre una luce esalta un flebile ma chiaro segnale di rinascita nella devastazione: un’immagine forte, quasi cinematografica, che chiude l’opera con un senso di disperazione universale, ma anche di speranza futura. Insomma, l’esperienza di immergersi nel mondo della lirica resta unica. La Scala è un tempio della cultura e per i più giovani rappresenta un’occasione irripetibile. O forse ripetibile, se la passione è sbocciata e si avrà la possibilità di tornarci.