Secondo atto - 3/5
Finché la storia riprende con Don Carlo, fratello di Leonora, che travestito da studente è alle calcagna della sorella per vendicare il vecchio. Lei a sua volta è travestita da uomo. (Piccolo assioma: i travestimenti nella lirica sono come quelli dei romanzi di Agatha Christie, agli assassini basta un cappello o un paio di occhiali e diventano irriconoscibili anche ai familiari stretti). Fratello e sorella si ritrovano in un’osteria piena così di gente che al primo sguardo potrebbe sembrare il governo Trump: pellegrini in viaggio per il Giubileo, un po’ di soldati, la zingara Preziosilla (che spinge i paesani ad andare in guerra in Italia contro i tedeschi) e il mulattiere Trabucco. E’ lui che sta accompagnando la camuffata Leonora a un monastero dove la giovane vuole rinchiudersi per penitenza per ciò che ha fatto. Com’è come non è, don Carlo avvicina la sorella e le fa capire che don Alvaro non è morto come credeva, è vivo e vegeto. Segue dialogo tra Leonora e il Padre guardiano del monastero in cui lui le ripete che ritirarsi in convento non è come passare il lockdown da Covid in un resort ai Caraibi. Ma lei – dura come una pina verde – insiste che è quello che vuole e il Padre guardiano non può che allargare le braccia, consegnarle un saio e invitare i monaci a supplicare la Madonna. Nel frattempo maledice – e due – chi proverà a rivelare l’identità della new entry in pericolo. Leonora si accomoderà nella dependance del monastero, un eremo di fronte. Cori di frati e sagre paesane fanno da contesto.