Definita dalla carismatica esoterista Dion Fortune, in maniera provocatoria quanto efficace, come “lo yoga dell’Occidente”, la Qabbalah (o Kabbalah) racchiude in sé le numerose dottrine e testimonianze mistico-esoteriche della tradizione ebraica.

Gershom Scholem, nato nel 1897 a Berlino e morto nel 1982 a Gerusalemme, è stato il primo a concretizzare un approccio accademico agli studi cabalistici, anche in una chiave di riscoperta dell’identità sommersa del popolo ebraico e dei mille rivoli dell’ortodossia. In questo senso, è molto interessante la lettura del testo Cabbalisti cristiani, pubblicato da Adelphi, in cui il grande studioso critica il tentativo di sintesi tra Qabbalah e Cristianesimo portato avanti da menti geniali come Pico della Mirandola e Isaac Newton (ma anche da gran parte della tradizione massonica). Eppure, com’egli stesso confesserà negli ultimi anni, fu proprio la lettura di uno studioso cristiano della Qabbalah ad accendere in lui il fuoco della ricerca che lo condurrà ad essere una delle figure più autorevoli sul tema nella storia del Novecento. Motivo che rende ancora più intrigante la lettura dei tre saggi che compongono il volume.

Il suo principale allievo, rispettoso ma spesso tacciato di essere “eretico”, è stato Moshe Idel e possiamo dire senza tema di smentita che chiunque abbia anche solo un minimo interesse verso tale tradizione sa che negli studi in materia c’è stato un “prima di Idel” e un “dopo Idel”. I contributi, infatti, del filologo rumeno, naturalizzato israeliano, pubblicati tra gli ultimi decenni del Novecento e l’inizio del nuovo millennio, hanno fatto luce su nuovi aspetti filologici e su sfaccettate implicazioni teologiche della Qabbalah.

Sempre Adelphi (dopo aver già pubblicato i suoi Qabbalah. Nuove prospettive” Mistici messianici, Eros e Qabbalah, Il Male primordiale nella Qabbalah) ha recentemente dato alle stampe un nuovo saggio firmato da Idel, L’apoteosi del Femminile nella Qabbalah. I pochi lettori fedeli di queste colonne già potranno intuire il mio enorme interesse per la tematica. In calce al testo, tra altre citazioni, appaiono due versi meravigliosi di Hayym Nahman Bialik che per tutta l’adolescenza hanno agito sul sottoscritto come un mantra: “Mettimi al riparo delle Tue ali / E sii per madre e sorella”. Riporto solo una breve citazione dall’Introduzione che già rende tutta la radicalità della riflessione ideliana: “L’affermazione che una potenza divina femminile occupi un luogo privilegiato in certe teologie ebraiche potrà sorprendere alcuni studiosi (…) Sottolineo il termine “privilegiato” perché i testi presi qui in esame trattano del rango eminente della potenza femminile in seno alla complessa teosofia cabbalistica…”. Chi conosce il magistrale scavo filologico di Idel si può immaginare la mole di occorrenze, citazioni, evidenze e riferimenti che lo studioso dispiega nel saggio per suffragare la sua tesi.

Un libro per alcuni versi affine è La Dea degli Ebrei di Raphael Patai (Venexia Editrice), coltissimo e poliglotta intellettuale, etnografo, storico, orientalista e antropologo. Un testo che, come leggiamo nella presentazione editoriale, si pone “lo scopo di dimostrare come la religione popolare ebraica, lungi dall’aderire a un rigido monoteismo, conteneva fin dai tempi più remoti forti elementi politeisti, il principale dei quali era il culto della Dea Madre, sposa consorte del Dio della Bibbia (…) Dalla dea Asherah fino alla Shekhinah e alla Lilith della Kabbalah, l’esigenza spirituale popolare di una forza femminile compagna del Re del Mondo non si è mai sopita, è la Dea degli Ebrei”. Ho avuto il piacere di presentare questo testo in una conferenza alla Libreria Rotondi accanto a uno dei più esperti studiosi non accademici del tema, il sempre stimato Daniele Capuano, a cui rimando per una trattazione approfondita del tema.

In conclusione, vorrei segnalare un libro dall’approccio meno filologico e più operativo, anch’esso targato Venexia Editrice, ovvero La Kabbalah incarnata. Esperienza e pratica con l’Albero della Vita di Jane Meredith. Fin dall’inizio, l’autrice rivela l’approdo mistico della sua ricerca: “La Kabbalah è un sistema magico vivo e pulsante che ci invita a ricordare, in ogni momento, la nostra intrinseca appartenenza all’universo. Siamo un tutt’uno col divino e con tutto ciò che è”. Ovvero, il significato etimologico di “yoga” (“unione”). A quanto pare, Dion Fortune non aveva poi così esagerato.

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