Il primo dato del Rapporto Censis 2024, presentato oggi a Roma, denuncia un’ignoranza sempre più grassa e profonda. Cultura generale? Il 50% degli italiani non sa indicare correttamente il secolo della rivoluzione francese, circa il 30% non conosce l’anno dell’unità d’Italia o quando è entrata in vigore la Costituzione, né quando è caduto il muro di Berlino, il 42% non sa quando l’uomo è sbarcato sulla Luna e il 13% cosa fosse la guerra fredda. Il 41% crede che Gabriele D’Annunzio sia l’autore de L’infinito, per il 35% Eugenio Montale sarà stato “un autorevole presidente del Consiglio degli anni ‘50”, il 18,4% non può escludere che Giovanni Pascoli sia l’autore de I promessi sposi e il 6% non pensa che Dante Alighieri abbia scritto La divina commedia. Infine, per il 35,9% Giuseppe Verdi avrebbe composto l’inno nazionale, mentre per il 32,4% la Cappella Sistina potrebbe essere stata affrescata da Giotto o Leonardo da Vinci, ma certamente non da Michelangelo.
Programmi scolastici? Il 55,1% dei giovani non conosce Giuseppe Mazzini (che per il 19,3% sarebbe stato un “parlamentare della prima repubblica”). Il 43,5% dei diplomati stenta a capire l’italiano scritto (che diventa l’80% negli istituti professionali). Per il 12,9% degli italiani 7 per 8 “non fa necessariamente 56”, per l’11,8% “io correrò” non è una declinazione al futuro del verbo “correre” (bensì l’indicativo o il congiuntivo), mentre il 53,4% non sa cosa sia il potere esecutivo, né quale sia la capitale della Norvegia o il capoluogo della Basilicata. Del resto per il 5,8% il “culturista” sarebbe una “persona di cultura”.
Ma il livello della scuola non è certo sceso solo negli ultimi due anni. Trattasi del prodotto (bipartisan) degli ultimi 30 anni. Se il centrodestra ha creato un liceo scientifico senza il latino e oggi persegue la quadriennalizzazione (già vaticinata però anche da altri ministri), la subordinazione delle conoscenze all’acquisizione di competenze meramente esecutive è stata un fiore all’occhiello di una certa sinistra da quando s’è innamorata del neoliberismo. Il tradimento dell’umanesimo e del rigore sull’acculturazione delle masse che caratterizzavano il movimento socialista è stato del tutto evidente, soprattutto da Luigi Berlinguer in poi, con programmi sempre più scarni, l’alternanza scuola-lavoro e la guerra alle “bocciature”. Secondo un classismo alla rovescia (“tanto sono ‘saperi inutili’ che non possono imparare), cercare di insegnare latino e greco nelle periferie era vis persecutoria e il merito un “vizio” reazionario. Per questo ebbe inizio il taglio dei programmi e la persecuzione dei docenti, oggi ridotti a paria, insultati, vilipesi e retribuiti da travet.
Il tutto si lega ad un ritorno a concezioni arcaiche, razziste e suprematiste. Per il 26% della popolazione gli immigrati clandestini sarebbero 10 milioni, per il 13% l’intelligenza sarebbe legata all’etnia (anzi, alla “razza”), per il 15,3% l’omosessualità sarebbe una patologia genetica e per il 9% “criminali si nasce”. Eppure è proprio la presenza di immigrati che riesce ad incrementare i contributi per le pensioni e a tenere in vita le comunità locali, consentendo l’esistenza di servizi essenziali come scuole, sanità, negozi e sostenendo l’economia. Infatti, lo spopolamento delle aree interne è cresciuto del 4,6% contro l’1,4% di quelle centrali.
In sintesi, l’Italia arretra da decenni. Cresce l’occupazione (+3,8% rispetto al 2007, anno pre-crisi), ma arretrano gli stipendi rispetto al resto della Ue, e scende il Pil, perché si tratta di lavori precari, dequalificati (non interni a filiere di qualità), senza contributi o a bassissima retribuzione. Il 68% degli italiani si dice “stanco e tradito dalla democrazia”. La metà dei giovani sa che non avrà mai una pensione (ed emigrano in 100mila l’anno – a cominciare dai laureati). Gli italiani hanno dovuto spendere 44 miliardi per curarsi presso la sanità privata, l’evasione fiscale galoppa, welfare e servizi (incrementati solo al tempo del Covid) sono del tutto insufficienti e la denatalità è al punto di non ritorno. Come sintetizza il rapporto: “Disinnescato il sortilegio della ‘fine della storia’ … la parola ‘fine’ si rovescia allora nell’altro suo significato: non più traguardo e compimento, bensì declino, tramonto, morte. Suonano le trombe di un’apocalisse culturale”.
Tutto ciò ha riportato il Paese a destra. Ancor peggio: nella subcultura. Se ne accorgerà qualcuno, a “sinistra”?