In un contesto di risorse scarse, “per fare fronte a esigenze di contenimento della spesa pubblica dettate anche da vincoli eurounitari, devono essere prioritariamente ridotte le altre spese indistinte, rispetto a quella che si connota come funzionale a garantire il fondamentale diritto alla salute di cui all’articolo 32 della Costituzione, che chiama in causa imprescindibili esigenze di tutela anche delle fasce più deboli della popolazione, non in grado di accedere alla spesa sostenuta direttamente dal cittadino, cosiddetta out of pocket“. Lo scrive la Corte costituzionale nelle motivazioni, depositate venerdì, di una sentenza con cui ha dichiarato l’illegittimità di una norma della legge di bilancio per il 2024, “nella parte in cui non esclude dalle risorse che è possibile ridurre, a seguito del mancato versamento del contributo dovuto da parte delle Regioni (pari a 350 milioni di euro, ndr) quelle spettanti per il finanziamento dei diritti sociali, delle politiche sociali e della famiglia e, in particolare, della tutela della salute“, spiega un comunicato della Consulta.

Accogliendo in parte un ricorso della Regione Campania, la sentenza puntualizza che, “nemmeno nel caso in cui la Regione non abbia versato la propria quota del contributo alla finanza pubblica, lo Stato può “rispondere” tagliando risorse destinate alla spesa costituzionalmente necessaria, tra cui quella sanitaria – già, peraltro, in grave sofferenza per l’effetto delle precedenti stagioni di arditi tagli lineari – dovendo quindi agire su altri versanti che non rivestono il medesimo carattere”. Il diritto alla salute, infatti, “coinvolgendo primarie esigenze della persona umana”, non può essere sacrificato “fintanto che esistono risorse che il decisore politico ha la disponibilità di utilizzare per altri impieghi che non rivestono la medesima priorità”, si legge nella sentenza, scritta dal giudice Luca Antonini. Citando una propria sentenza precedente, emessa nel 2016, la Consulta ribadisce quindi che è “la garanzia dei diritti incomprimibili ad incidere sul bilancio, e non l’equilibrio di questo a condizionarne la doverosa erogazione”.

La Corte ha poi sollecitato il legislatore, al fine di scongiurare l’adozione di “tagli al buio”, ad “acquisire adeguati elementi istruttori sulla sostenibilità dell’importo del contributo da parte degli enti ai quali viene richiesto”. La Campania del governatore dem Vincenzo De Luca, infatti, aveva impugnato la normativa sui versamenti regionali, segnalando di “avere in corso piani di rientro da disavanzi di amministrazione riferiti agli esercizi finanziari 2014 e 2015 e che, dovendo destinare a tale obiettivo un importo complessivo di circa 128 milioni di euro in ogni esercizio, l’ente” avrebbe sofferto, “in forza del nuovo contributo” da circa 35 milioni l’anno, “di una grave diminuzione della capacità di spesa a favore dei cittadini”. Tra le norme contestate c’era anche quella che consentiva allo Stato di recuperare l’importo del contributo non versato da una Regione “mediante corrispondente riduzione delle risorse a qualsiasi titolo spettanti” a quella Regione, comprese, quindi, quelle “destinate al finanziamento dei Servizi sanitari regionali e alle politiche sociali e della famiglia“.

“La sentenza della Consulta ribadisce con forza un aspetto cruciale del nostro sistema di welfare: la sanità pubblica non può essere il primo bersaglio dei tagli di bilancio. Nonostante le difficoltà economiche, è necessario continuare a investire in sanità, è non si tratta soltanto di una questione legata all’equità e all’accesso universale alle cure, ma proprio di un tema di tenuta sociale ed economica del Paese”, commenta la senatrice Pd Beatrice Lorenzin, ex ministra della Sanità. La Corte costituzionale, aggiunge, “richiama tutti a una riflessione: la sanità non è solo una voce di bilancio, ma un pilastro della coesione sociale. Tagliare risorse in questo settore significherebbe non solo violare un diritto costituzionale, ma anche mettere a rischio la sostenibilità futura del sistema Paese”.

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