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Dalla primavera araba all’autocrazia: la crisi democratica in Tunisia vista da un partito islamista

di Claudia De Martino

Mentre Bruxelles paga milioni di euro alla Tunisia per fermare i migranti, rendendosi complice di abusi dei diritti umani nei deserti tunisini, il Paese scivola sempre di più verso l’autocrazia, ovvero un sistema in cui un uomo solo – il Presidente Kaïs Saïed – si arroga tutti i poteri al vertice dello Stato.

Osama as-Saghir, ex deputato del partito en-Nahda (Rinascita), vicino ai Fratelli musulmani, eletto nel 2011 all’Assemblea costituente e poi nuovamente rieletto per due legislature consecutive (2014 e 2019), oggi all’estero dopo il colpo di stato del luglio 2021 e a seguito della chiusura del quartiere generale di en-Nahda nel 2023, spiega come la Tunisia sia passata dall’essere una “democrazia modello” uscita dalle Primavere arabe (l’ondata di sommosse popolari del 2011 che ha scosso tutto il mondo arabo) a Paese fortemente autoritario. Racconta di un Paese che ha vissuto le ultime elezioni (settembre 2024) apaticamente, dal momento che all’opposizione democratica di ogni colore è stato impedito di correre alle elezioni: “È chiaro che l’opposizione democratica ha subito un duro colpo dal Presidente Kaïs Saïed, che ha arrestato tanti candidati presidenziali e escluso dalle elezioni diversi leader dell’opposizione che si trovavano all’estero, accusandoli di cospirazione contro lo Stato. Il Presidente non ha rispettato la decisione del tribunale di riammettere alla corsa presidenziale tre candidati dell’opposizione e ha cambiato la legge elettorale a due settimane dalle elezioni, mandando un messaggio chiaro: che fosse disposto a tutto pur di vincere, anche trasgredendo tutte le regole democratiche.”

Il risultato è stato una forte disaffezione popolare, con tutta una parte del Paese che ha disertato le urne (27.7% il tasso di partecipazione elettorale), nonostante il 90.7% di preferenze registrate a favore del Presidente. As-Saghir spiega le ragioni di questa disillusione collettiva: “In pochi hanno partecipato a queste elezioni, i giovani non votano più e il supporto all’attuale Presidente è provenuto soprattutto dagli elettori delle zone periferiche e rurali, da anziani principalmente, che si informano solo attraverso la tv di Stato, dove viene estenuatamente ripresa la narrazione del governo, che ritrae il Presidente come un eroe che combatte contro i corrotti a beneficio del popolo tunisino. ‘Corrotti’ che non vengono mai identificati per nome, ma risultano ossessivamente presenti nei suoi discorsi”.

Aggiunge che l’opposizione sta cercando di riorganizzarsi per liberare i prigionieri politici e lottare per ripristinare lo stato di diritto, ma che adesso nella società tunisina cominciano anche a registrarsi forme di mobilitazione dal basso, che partono dai cittadini dei quartieri più poveri, che maggiormente stanno patendo la crisi sociale ed economica e scontando un altissimo livello di disoccupazione: tutti problemi sociali urgenti a cui le politiche del Presidente finora non hanno dato alcuna risposta.

As-Saghir descrive con sgomento quanto si sia trasformata la Tunisia dopo il colpo di stato del luglio 2011: “Il Paese – racconta – è diventato una ‘autocrazia’, un governo fortemente autoritario: Kaïs Saïed ha sistematicamente eliminato tutti i settori dell’opposizione democratica e ha successivamente rinnegato anche i (pochi) gruppi politici che l’avevano inizialmente sostenuto, per rimanere solo al comando. Ha un progetto di governo che assomiglia a quella dell’ex leader libico Gheddafi, incentrato sulla figura dell’’uomo forte’, e in tal senso ha modificato la costituzione e le leggi dello Stato per imporre la sua particolare visione autoritaria del contratto sociale tra stato e popolo.”

Questo non significa necessariamente che l’opposizione democratica, tra cui il partito en-Nahda di cui fa parte, siano completamente esenti da responsabilità, che ammette candidamente: “Il Presidente Saïed – aggiunge – è riuscito ad approfittare della crisi che affrontava la transizione democratica, con tutti gli errori e i limiti che le erano propri: governi instabili, litigi continui tra partiti politici, il tutto accentuato dalla crisi del Covid-19, che ha provocato molti morti in Tunisia e soffiato sulla rabbia sociale, inducendo molte famiglie, assetate di cambiamento, a puntare sulla figura dell’’uomo forte’ al comando, permettendo così al Presidente, in qualità di capo dell’esercito, di compiere il suo colpo di stato e sgombrare il Palazzo del parlamento e quello del governo con l’invio di carri armati (il 25 luglio 2021)”.

I primi avversari del nuovo regime sono stati proprio i partiti che avevano fatto la storia della Tunisia post 2011, tra cui en-Nahda. Si è assistito ad un’ondata di dimissioni, più o meno indotte, di alte cariche dello stato (il direttore della tv di stato, vari alti gradi nell’esercito) anche se il Presidente Kaïs Saïed non ha proceduto a sistematiche epurazioni nelle istituzioni pubbliche, ma piuttosto ha identificato nel Parlamento e nella libertà di stampa i suoi principali nemici, decidendo di esautorare il primo e limitare fortemente la seconda. As-Saghir, che ne è stato testimone in prima persona, riferisce che “il Presidente ha revocato le immunità parlamentari a tutti i membri del Parlamento, ma non ha operato dei licenziamenti di massa nel settore pubblico. Tuttavia, in Tunisia non c’è più libertà di espressione: sono tantissime le persone arrestate per dei post scritti su Facebook, per un’intervista alla radio, come, ad esempio, avvenuto all’avvocato e attivista per i diritti umani Sonia Dahmani (nda: condannata lo scorso 24 ottobre a due anni di prigione in virtu’ del decreto presidenziale 54/2022 sulla ‘diffusione di false notizie’). Dahmani, una donna che ha sempre difeso i diritti civili, si era espressa su un canale tv tunisino dicendo che il paese “faceva schifo” e, solo per questo, adesso è in carcere da diversi mesi.

Ci sono molti giornalisti che sono stati arrestati e restano in carcere perché critici nei confronti del governo e del Presidente, ma anche tanti ragazzi arrestati – l’Osservatorio per i diritti civili ne riporta ben 1500! – semplicemente per un post su Facebook o per aver diffuso una canzone popolare sul disagio sociale dei giovani. È chiaro che è in atto una caccia alle streghe contro tutte le persone potenzialmente critiche e questa non riguarda più solo i politici ma anche semplici cittadini.”

Tuttavia, conclude su una nota di ottimismo quando osserva che la sua impressione al momento è che i cittadini comincino a dubitare della narrazione complottistica del Presidente e inizino ad esprimere pubblicamente il loro scontento.

Certamente il suo partito, en-Nahda, esce dalla crisi politica fortemente ridimensionato nei ranghi e anche nelle capacità d’influenzare l’opinione pubblica. Il suo leader, Rached Ghannouchi, è stato arrestato nell’aprile del 2023, ma al suo arresto hanno fatto seguito quello di molti altri esponenti dell’islamismo politico. As-Saghir riferisce che tutti gli alti quadri del partito sono in prigione: “Nonostante il fatto che il Presidente del partito Ghannouchi e i suoi due vice, oltre al Presidente del Consiglio nazionale e tanti altri leader nazionali e regionali e locali del partito siano in carcere, En-Nahda rimane ancora la forza politica di opposizione più importante del Paese ed è impegnata, assieme alle altre forze politiche, a riaffermare lo stato di diritto e liberare tutti i prigionieri politici.”

Tuttavia, ammette che il partito sta affrontando anche una faticosa fase di riflessione, per capire gli errori compiuti durante la transizione democratica che possono aver contribuito all’attuale collasso della democrazia in Tunisia. Ci vorrà del tempo prima di trovare la sintesi tra le istanze di valutazione del passato e quelle di rinnovamento, ma una volta compiuto questo processo, as-Saghir è convinto che “en-Nahda potrà ripresentarsi agli elettori più forte di prima, per guidare il Paese in una nuova fase politica, basata sul rispetto della democrazia e dello stato di diritto.”

È difficile fare delle previsioni di lunga durata, ma as-Saghir ritiene che non si possano bollare le Primavere arabe come un fallimento, perché la storia insegna che i cambiamenti importanti intervengono nel lungo periodo e talvolta attraversano lunghe fasi di gestazioni costellate da momenti alti e bassi. Non tutto il “capitale democratico” è ancora perduto, perché – sostiene – “anche se la nostra transizione democratica ha sofferto tanto per divergenze politiche interne e sfide geopolitiche esterne (guerra in Libia, rapporti con l’Egitto/Turchia), ora abbiamo imparato dagli errori commessi e prima o poi la democrazia in Tunisia riprenderà il suo corso.”

Non c’è che da augurarselo perché le aspettative di una generazione di cittadini arabi, che erano scesi in piazza per la libertà 13 anni fa ma a cui i rispettivi regimi hanno risposto quasi solo con la violenza, non vadano completamente tradite.