Non ci stanno e accanto a loro possono contare sull’intera comunità. Le lavoratrici e i lavoratori dello stabilimento Beko di Comunanza, in provincia di Ascoli Piceno, non si arrendono alla volontà della multinazionale del bianco di chiudere la loro fabbrica, attiva da cinquant’anni. E in vista dell’incontro al ministero delle Imprese e del Made in Italy sono scesi in piazza – insieme a tutti i sindaci della comunità montana – per difendere il loro posto di lavoro, convocati da Fiom, Uilm, Fim e Ugl. Sono a rischio in 332, senza contare i dipendenti delle aziende dell’indotto che – a cavallo di tre province delle Marche – saranno travolte dalla dismissione decisa da Arcelik, la controllante turca del marchio attivo del settore del bianco. Quello di Comunanza è uno dei siti che Beko ha deciso di chiudere in Italia per razionalizzare la produzione dopo l’acquisizione del 75% di Whirlpool Europe nel 2023. Insieme al sito piceno sono a rischio anche Siena e la linea del freddo a Cassinetta di Biandronno, in provincia di Varese.
La “forte concorrenza degli operatori asiatici” rende la produzione di lavatrici e asciugatrici “non sostenibile in ogni scenario considerato”, ha comunicato Beko nell’ultima riunione al Mimit annunciando il licenziamento di 1.935 dipendenti in Italia, il 44% della forza lavoro. Senza un intervento del governo, andranno a casa alla fine del 2025. Per Comunanza, paese alle pendici dei monti Sibillini, sarebbe una mazzata: “Questa zona viene fuori dagli anni difficili del terremoto e da decenni lo stabilimento rappresenta uno dei principali poli produttivi”, spiega il segretario provinciale della Fiom-Cgil Alessandro Pompei.
Hanno sfilato in centinaia, mentre una delegazione – insieme ai colleghi degli altri due stabilimenti a rischio – hanno incontrato Papa Francesco accompagnati dagli arcivescovi di Siena e Ascoli Piceno, San Benedetto del Tronto-Ripatransone-Montalto. La mobilitazione sta coinvolgendo l’intero territorio, l’unica istituzione immobile appare quella decisiva: il governo. Teoricamente avrebbe già agito l’1 maggio 2023, quando Beko ha perfezionato l’acquisto del ramo europeo di Whirlpool. All’epoca venne attivato il golden power attraverso un Dpcm. Ma alla prova dei fatti si è dimostrato inutile, con la mossa di Palazzo Chigi – sollecitata dal ministro Urso – svuotata di significato alla prova dei fatti.
Di quel provvedimento ne chiede conto il Pd: “Il governo eserciti davvero il golden power, in Europa abbiamo già presentato un’interrogazione e chiederemo, insieme ad altri parlamentari, un incontro con i commissari europei Stéphane Séjourné e Roxana Minzatu. Comunanza non si chiude”, ha detto l’eurodeputato dem Matteo Ricci nel corso del corteo dei lavoratori marchigiano. Martedì alle 14 si terrà un nuovo round della vertenza. Beko tornerà al ministero a distanza di due settimane ma – a quanto apprende Ilfattoquotidiano.it – non farà alcun passo indietro, confermando le chiusura alla fine del 2025 e i quasi 2mila esuberi dichiarati negli incontri precedenti. Le decisioni della multinazionale turca non fanno che conclamare il fallimento delle precedenti azioni dell’esecutivo, nel 2023 lesto nel sostenere che Dpcm avrebbe tutelato l’occupazione. Un anno e mezzo dopo le carte sono scoperte – restano tuttavia ignote le prescrizioni – e il bluff è conclamato.
“Il governo si arrampica sui vetri su golden power che non ha saputo usare, ormai è chiaro. Basta bugie – spiega la segretaria nazionale della Fiom-Cgil Barbara Tibaldi – Si muova piuttosto per arrivare a un nuovo piano industriale con lo Stato a garanzia. Glielo diremo in maniera chiara nell’incontro del 10. Beko deve ritirare l’attuale piano che è in realtà una dismissione neanche tanto mascherata. Noi non lo discuteremo. Non firmeremo mai licenziamenti e chiusure. Se insisteranno, andremo avanti per la nostra strada”.
Le foto in evidenza sono per gentile concessione di Francesca Bollettini