di Freedom Pentimalli
“Mentre l’Inghilterra si sforza di curare la putrefazione delle patate, nessuno sforzo sarà invece destinato all’altra putrefazione, quella più ampia e fatale, quella del cervello“. Harry David Thoreau, nel 1854, fotografava questa disillusa immagine della realtà inglese in una delle sue opere più conosciute, Walden.
È notizia di pochi giorni fa che “brain rot” sia stata scelta quale parola dell’anno 2024, da inserire nell’Oxford Dictionary: l’accento cade sulla “putrefazione del cervello”, ossia il risultato che si osserva negli utenti che passano ore e ore a fissare lo schermo del proprio cellulare, magari spegnendosi assieme ad esso quando ormai è notte fonda.
Non credo che il marcio renda l’idea. L’inglese sa fare economia di sillabe, di suoni, va al punto con discutibile buon gusto. Capisco Thoreau, parlava di patate e ne è nata una provocazione. Ma qui, oggi, il punto è diverso. Cosa ci accade mentre regaliamo la nostra attenzione migliore a video che, nel migliore dei casi, mostrano gattini che dormono? Quale bisogno c’è dietro questo assentarci dal mondo che ci circonda per dedicarci allo schermo?
Evasione è una parola decisamente errante, alla continua ricerca del proprio baricentro: la mia vita è più social o più realtà? Da quale delle due vorrei evadere quando mi connetto? È ancora possibile l’evasione se sono in entrambe, quindi ovunque? Credo ci sia una finestra che la renda ancora possibile ma, da buona finestra, richiede passività: starsene dietro al vetro e aspettare gli eventi. Il che ha il suo risvolto apparentemente positivo: non devo far nulla, godrò di quello che passa l’algoritmo-convento.
La passività non è però gratuita. A partire dalla corrente per tenere in carica il cellulare fino ai nostri dati ceduti a società di sconosciuti che ci impacchettano pubblicità ideali per il prossimo natale.
Stare alla finestra porta assuefazione, non putrefazione. Manteniamo attive le funzioni vitali di base, cibarsi e fare i bisogni, e poi riprendiamo il cellulare. Sembra una logica da allevamenti intensivi, dove noi umani abbiamo il nostro cibo quotidiano fatto di pizza e gigabytes, consumiamo tantissimo, per vedere ciò che l’algoritmo ci concede. Da assuefazione in perdita di responsabilità individuale (questo capita, non dipende da me…), da isolamento consumistico a sfascio collettivo in termini di comunità.
Le sinapsi non sono ancora in sepsi. L’assuefazione può essere scossa, defibrillata, la finestra si può aprire, a costo di rompere il vetro, si può gettare fuori un urlo che dica al mondo di fuori che vogliamo anche noi una piccola parte nel gioco degli eventi, assieme alla piccola parte di chi magari urla al balcone poco più in là e che finalmente riesco a sentire prossimo, riesco a crearci un rapporto.
Che una vocale, una i, per forare come un ago la cortina di assuefazione non sia la via migliore per godere di piccole grandi brain riot, e passare dall’evasione all’invasione?