Una gran parte dei decessi registrati, soprattutto tra bambini e giovani, si deve alla totale mancanza di cure
Sembra rientrare l’allarme sulla misteriosa malattia che in Congo ha provocato una settantina di morti. Come riporta l’Ansa secondo il ministero della Sanità congolese l’epidemia dura da oltre 40 giorni ed i morti accertati in presidi sanitari sono 27 su 382 contagiati. Altri 44 decessi sono stati registrati nei villaggi limitrofi, ma senza una verifica […]
Sembra rientrare l’allarme sulla misteriosa malattia che in Congo ha provocato una settantina di morti. Come riporta l’Ansa secondo il ministero della Sanità congolese l’epidemia dura da oltre 40 giorni ed i morti accertati in presidi sanitari sono 27 su 382 contagiati. Altri 44 decessi sono stati registrati nei villaggi limitrofi, ma senza una verifica della diagnosi, per un totale di circa 70 morti in una vasta area. Una gran parte dei decessi si deve però alla totale mancanza di cure. Il tasso di mortalità è intorno all’8%. La zona di Panzi, dove si è sviluppata la malattia, è estremamente remota e scarsamente popolata. La valutazione degli esperti al momento è che l’epidemia possa dunque essere contenuta.
La culla dei virus – In Congo e Camerun, con la presenza della foresta equatoriale ed una grandissima varietà di animali, si concentra la maggiore parte dei virus del pianeta. Un luogo quindi ideale per l’ormai noto salto di specie (spillover), il processo naturale per cui un patogeno degli animali evolve e diventa in grado di infettare, riprodursi e trasmettersi all’interno della specie umana. A spiegarlo è Carlo Federico Perno, responsabile Microbiologia e diagnostica di immunologia, dell’ospedale pediatrico Bambino Gesù, secondo il quale “si potrebbe trattare di un’infezione a trasmissione respiratoria“. Si tratta solo di un’ipotesi, in mancanza di alcuni dati clinici ed epidemiologici molto importanti. “Non sappiamo quante persone si sono davvero infettate. In quelle zone solo il 3-4% delle persone riesce ad accedere all’assistenza medica in ospedale. I casi quindi potrebbero essere molti di più rispetto a quelle segnali (ed in passato è già avvenuto con l’Hiv) e se così fosse la percentuale di mortalità potrebbe essere molto più bassa rispetto a quella che ora conosciamo”. Fra le ipotesi degli esperti circola anche quella di una polmonite da Mycoplasma. “Perché no? Ma – osserva Perno – a meno che non sia una nuova forma, queste si risolvono generalmente in modo benigno”.
L’ipotesi polmonite – L’ipotesi di una polmonite da Mycoplasma è stata formulata da Paul Hunter, Professore di Medicina presso l’UEA (University of East Anglia): “La menzione dell’anemia fa pensare alla polmonite da Mycoplasma, ma è troppo presto per fare una diagnosi definitiva finché non saranno riportate ulteriori analisi”. Il Mycoplasma pneumoniae è un batterio responsabile di patologie che interessano soprattutto l’apparato respiratorio. Le manifestazioni variano dalle lievi infezioni delle vie aeree superiori (raffreddore, faringite ecc.) fino alle forme più severe di polmonite, spesso asintomatica, ma, quando le difese immunitarie sono ridotte, l’infezione può condurre a complicanze ematologiche e neurologiche gravi.
Intervistati da Science Media Centre britannico, (un ufficio stampa scientifico indipendente finanziato da università e centri di ricerca, organizzazioni non governative, gruppi di pazienti) un gruppo di esperti ha analizzato i pochi dati a disposizione. “Sappiamo ancora molto poco a riguardo, a parte il fatto che finora sono state segnalate 376 persone colpite e 79 decedute, tuttavia, date le difficoltà nell’identificare infezioni lievi in;Africa centrale, l’infezione ha probabilmente un tasso di mortalità molto più basso di quanto suggeriscano queste cifre. La malattia sembra essere prevalentemente un’infezione respiratoria con sintomi tra cui febbre, mal di testa, congestione nasale, tosse, difficoltà respiratorie e anemia”. Per Hunter “segnalazioni di epidemie con decessi emergono da qualche parte nel mondo diverse volte all’anno. Quasi tutte risultano essere infezioni già note con conseguenze globali limitate. Ma ovviamente, abbiamo bisogno di maggiori informazioni prima di poter giudicare le conseguenze più ampie, se presenti, di questa epidemia. È fondamentale che questi casi vengano indagati tempestivamente in modo che possano essere implementate misure di trattamento e controllo appropriate”. Per Jake Dunning, ricercatore senior e consulente in malattie infettive presso il Pandemic Sciences Institute dell’Università di Oxford, “ci sono molteplici, potenziali cause infettive per questo focolaio di malattie non identificato, in base ai sintomi descritti e alle descrizioni di chi è maggiormente colpito, e ci sono anche alcune possibili cause non infettive. Speculare sulle cause di eventi di malattie non identificati, che accadono periodicamente, specialmente nei paesi africani, non è utile e a volte può essere dannoso”.
Ipotesi febbre emorragica – “Dalla sintomatologia potrebbe trattarsi di una febbre emorragica. Sono delle forme virali come per esempio Ebola o la febbre emorragica di Congo-Crimea, cioè fondamentalmente infezioni che già sono note, magari sostenute da un nuovo virus che ci auguriamo venga presto identificato” scrive l’infettivologo Matteo Bassetti su X. “Sono stati centinaia i casi di questa malattia caratterizzata da febbre, mal di gola, tosse ma soprattutto anemia, mancanza di omoglobina nel sangue, quindi la mancanza dell’ossigeno necessario ai tessuti- spiega-. Una forma influenzale molto grave perché ha colpito soprattutto i più giovani e anche i bambini. Stiamo parlando di un’area del mondo dove ci sono numerosi problemi anche di nutrizione, che vuol dire avere un sistema immunitario che funziona meno – prosegue il direttore della Clinica Malattie infettive del Policlinico San Martino di Genova-. Quindi potrebbe essere legata a questo il fatto che alcuni dei morti sono proprio nei bambini sotto i 5 anni e in generale sono stati colpiti i giovani sotto i 25 anni.
Riguardo la paura del contagio, Bassetti chiarisce che “viene fatto un cordone sanitario da parte dell’Oms nell’area che è stata interessata e si cerca di evitare che le persone all’interno di questo cordone sanitario escano e quindi possano portare il contagio in altre aree. Quindi questo punto di vista la situazione sembra sotto controllo. L’OMS dice che c’è una procedura molto chiara che viene seguita, quindi io credo che non sia il caso di allarmare nessuno, anche perché i rapporti sia commerciali che aerei con il Congo da parte del resto del mondo, dell’Europa, sono non esattamente come quelli che avevamo con la Cina, con voli continui e costanti ogni giorno”. Al momento, “il rischio di diffusione evidentemente di quel contagio ad altre aree del mondo è assolutamente molto basso, però è importante avere delle risposte a brevissimo”. Importante per Bassetti “non guardare l’Africa come un problema per le malattie infettive solo quando succedono queste problematiche, ma sempre. L’Africa purtroppo ha alcune problematiche legate alla malnutrizione, legate ai sistemi sanitari che evidentemente non funzionano, legate a una povertà che dovrebbe porci attenzione a questo paese non soltanto in questi momenti quando ci sono forme misteriose ma tutti i giorni”.