L’annosa questione della misurazione della rappresentanza di associazioni datoriali e sindacati torna al centro del dibattito e vede d’accordo le associazioni datoriali, i sindacati e le opposizioni. L’unione di intenti nasce dalla comune preoccupazione per i correttivi al Codice appalti – ora in discussione nelle commissioni Ambiente e Lavoro di Camera e Senato – voluti dal ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini. Tra il resto, il vicepremier leghista punta a modificare i criteri per individuare il contratto collettivo (Ccnl) applicabile ai lavoratori impegnati in un appalto pubblico. Se passa la sua proposta, per definire la “maggiore rappresentatività comparata” delle organizzazioni firmatarie dei Ccnl le stazioni appaltanti potranno tener conto anche del numero delle sedi legali e dei contratti sottoscritti (oltre che della presenza dei firmatari nel consiglio del Cnel). Non solo: potrà essere utilizzato un contratto che preveda “scostamenti marginali” rispetto a quello indicato dalla stazione appaltante. Novità che rischiano di aprire la strada ai contratti pirata, visto che su oltre 1000 contratti depositati al Cnel solo una minoranza è firmata dai confederali.
Giorni fa Abi, Ania, Confcommercio, Confcooperative, Confindustria e Legacoop hanno sottoscritto una lettera congiunta indirizzata alle commissioni parlamentari per proporre quattro criteri condivisi che consentirebbero di individuare in maniera adeguata e oggettiva le associazioni datoriali più rappresentative e la contrattazione collettiva di qualità: ‘seniority‘ dell’associazione, numero dei rapporti di lavoro regolati dal ccnl, appartenenza/partecipazione dell’associazione a organismi di rappresentanza europea e/o internazionale, presenza congiunta negli accordi di forme di previdenza complementare, di assistenza sanitaria integrativa e di fondi di formazione professionale.
I segretari generali di Cgil e Uil, Maurizio Landini e PierPaolo Bombardieri, e il segretario generale della Cisl Luigi Sbarra, hanno accolto con favore quelle proposte. I criteri proposti dal governo “rischiano di alimentare dumping contrattuale e concorrenza sleale a danno di lavoratori ed imprese serie”, dicono Landini e Bombardieri. Quindi serve “una definizione complessiva dei criteri sulla corretta misurazione nella definizione di organizzazioni sindacali e datoriali ‘comparativamente più rappresentative'” e “siamo disponibili a un confronto nel merito, con le associazioni di imprese, affinché si possa addivenire ad una comune sintesi per una proposta più complessiva da sottoporre alle istituzioni”. Sbarra concorda, nonostante le posizioni ben diverse rispetto a quelle degli altri due confederali sulla manovra di Bilancio: “Siamo da subito disponibili a promuovere un tavolo di confronto che coinvolga tutte le associazioni sindacali e datoriali con la maggiore rappresentatività comparata per proporre al legislatore meccanismi di verifica della effettiva rappresentatività delle parti sociali che sottoscrivono i contratti collettivi da esplicitare nel Codice degli appalti. Le proposte su questa materia devono necessariamente provenire dalle stesse parti sociali”.
Venerdì anche le opposizioni hanno diffuso una nota comune sul tema. “L’individuazione del contratto più rappresentativo sia definito in accordo con le parti sociali“, scrivono Maria Cecilia Guerra (Pd), Valentina Barzotti (M5s), Franco Mari (Avs), Elena Bonetti (Azione), Silvia Fregolent (Italia Viva) e Riccardo Magi (Più Europa). “Alle sollecitazioni venute dalle principali associazioni datoriali – Abi, Ania, Confcommercio, Confcooperative, Confindustria e Legacoop – si è aggiunta la proposta di Cgil e Uil di avviare un confronto che coinvolga tutte le principali forze sociali. Anche la Cisl ha ribadito la necessità che la materia sia oggetto di confronto fra le associazioni sindacali e datoriali. Ci rivolgiamo quindi al Governo perché si faccia parte attiva per favorire il necessario confronto fra le parti sociali su un tema di così grande rilevanza per la democrazia economica e le relazioni industriali del nostro Paese. A questo fine è necessario, pur pretendendo tempi certi, che il governo faccia la prima mossa, togliendo dal decreto correttivo le norme che intervengono sull’individuazione del contratto più rappresentativo, fino all’esito del confronto fra le parti”.