La Fenice Islamica torna a rinascere dalle ceneri del passato. Questa volta a farla rialzare è Abu Mohammed al-Jawlani, rappresentante della terza generazione di combattenti jihadisti in quel triangolo di terra vessato da decenni di guerre civili e terrorismo, una lingua di deserto compresa tra il Tigri e l’Eufrate che guarda alla Turchia a Nord e all’Arabia Saudita a sud. Da queste parti, si racconta, nacque la nostra civiltà, successe agli albori delle grandi migrazioni africane, quando la pergamena della storia era ancora incontaminata. Oggi questa terra è il teatro dello scontro tra due mostruosità il regime siriano di Assad e i gruppi del fondamentalismo islamico.
Al-Jawlani è l’erede incontrastato dei due maggiori leader jihadisti degli ultimi vent’anni che lo hanno preceduto: il mujahedin Al Zarqawi, con il quale combatté in Iraq all’inizio degli anni 2000, e l’intellettuale/teologo al Baghdadi che ebbe modo di conoscere durante i cinque anni di prigionia in Iraq. Ma è anche figlio della madre di tutti i conflitti mediorientali, la Palestina: i suoi genitori nacquero sulle colline del Golan da dove vennero cacciati nel 1967 quando Israele le conquistò.
Abu Mohammed al-Jawlani è cresciuto in Arabia Saudita, patria di Al Qaeda, una nazione che ha utilizzato la guerra santa quale leva primaria del proselitismo wahhabita e che oggi si è aperta alla modernizzazione su modello occidentale. A differenza di quanto si dica, dunque, questo 43enne che guida la nuova punta di diamante del jihadismo Hayat Tahrir al-Sham (Hts) è figlio del passato, ma anche artefice del presente, al punto da rovesciare completamente la visione geopolitica di Al Qaeda e dello Stato Islamico. Come al Zarqawi, al-Jawlani combatte il nemico vicino, cioè il regime siriano, e non è minimamente interessato a quello lontano, ossia gli Stati Uniti; a differenza di al Baghadi e Osama bin Laden professa la tolleranza religiosa e non considera le donne esseri inferiori; come Mohammed bin Salman, il delfino saudita, è pragmatico e politico: la spada non serve solo per punire, ci si intaglia lo stato di diritto.
Queste caratteristiche gli hanno permesso un’ascesa incontrastata culminata pochi giorni fa con l’ingresso trionfale delle sue truppe ad Aleppo, sconfiggendo le forze di Damasco ma anche quelle dell’alleato principale, la Russia.
A differenza di al Zarqawi e al Baghdadi, Abu Mohammed al-Jawlani non combatte una guerra per procura, è autosufficiente. Errato è vedere nella proibizione del regime saudita alle migliaia di membri della famiglia reale di finanziare il jihadismo un potenziale segno di debolezza di Hts. Errato è anche credere che il successo di Hts sia esclusivamente legato all’indebolimento della Russia dopo quattro anni di combattimenti in Ucraina o dell’Iran, impegnata a sostenere prima Hamas e poi gli Hezbollah contro la macchina bellica israeliana. Hts possiede una base solida nel nord della Siria e una rete di simpatizzanti nel resto del paese che lo sostengono, combatte una guerra non più per procura.
Quello che sta succedendo in Siria è fuori dagli schemi del jihadismo e del terrorismo del passato: non solo l’Hts è riuscito a liberarsi della zavorra religiosa e dell’esaltazione messianica dei vecchi leader, ma è diventato una forza politica autosufficiente e il regime di Assad sta finalmente manifestando la sua debolezza e carenza di legittimità.
La Siria è pronta per un cambiamento di regime e questo potrebbe avvenire nei prossimi mesi proprio per mano di Hayat Tahrir al-Sham e del suo braccio istituzionale, la Syrian Salvation Army. Dal 2017 gestiscono alcune zone nel nord della Siria come si gestiscono piccoli stati, esistono le infrastrutture – dalle scuole agli ospedali – esiste un’amministrazione locale che si occupa dei servizi sociali, esiste un ministero dell’Economia che distribuisce le sementi ai contadini e si assicura che la moneta locale, la Lira turca, circoli. Esattamente l’opposto dello stato guscio terrorista, da quello dell’Olp nei territori occupati e in Libano fino a quello delle Farc in Colombia: qui si è partiti dal senso di appartenenza della popolazione sul territorio, una forma di nazionalismo locale intorno al quale Hts e la Syrian Salvation Army hanno costruito uno stato/società autosufficiente.
L’obiettivo è creare una realtà politica, economica e sociale a livello locale e replicarla a livello nazionale per dar vita ad una nuova nazione. Non si guarda fuori dai confini di questa realtà, il sogno è circoscritto.
In un’intervista alla Pbs americana, quando gli è stato ricordato che per gli Usa è un terrorista, Abu Mohammed al-Jawlani ha risposto con una domanda: come definite terrorista? La sua ascesa, la tolleranza religiosa e sociale con cui ha gestito i territori da lui controllati, il rifiuto di globalizzare la lotta, e quindi di considerare gli Stati Uniti e i suoi alleati come nemici come fece al Qaeda, ci ricordano che la transizione da terrorista a leader è possibile, tutto dipende dalle circostanze storiche: su questo Nelson Mandela docet.
Per ora al-Jawlani è ben lontano da questo traguardo, rimane un terrorista. Il suo ostacolo principale nella possibile transizione non è il regime di Damasco ma la posizione geopolitica della Siria, cioè lo sbocco sul Mediterraneo per gli alleati russi e iraniani. In cambio di protezione militare, Teheran e Mosca ne usufruiscono e non sarà facile convincere entrambi a rinunciarci.